LE CITTA’ METROPOLITANE
La nuova disciplina in attuazione della legge 131/03
Roma, 14 ottobre 2003
Il nuovo titolo V della Costituzione.
Il nuovo quadro costituzionale inaugurato dalla l. cost. n. 3/2001, modifica profondamente i principi che reggono il governo locale nel nostro Paese nei suoi rapporti con le Regioni e con lo Stato e nella sua capacità complessiva di amministrazione e di governo nei confronti della collettività. Invero il nuovo testo porta alle estreme conseguenze la caratterizzazione fortemente pluralista e autonomista già propria dei principi costituzionali (art. 5) ed introduce delle innovazioni importanti nell’ambito del governo locale.
Certamente ha un forte rilevo nel disegno complessivo del sistema, l’affermazione che la Repubblica sia “costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” con pari dignità politico costituzionale di tutti questi enti. Ma ha ancora più peso l’affermazione che tutti gli enti del governo territoriale, dalla Regione alla Provincia, alla Città metropolitana, al Comune “sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondi i principi fissati dalla Costituzione” (art. 114). Insomma, la pari dignità politico costituzionale si traduce qui in una parità di regime giuridico di tutti gli enti del governo territoriale, tutti definiti nel loro contesto ordinamentale, tanto sul versante organizzativo che su quello funzionale, dai principi della Costituzione.
Per Comuni, Province, Città Metropolitane e Regione assume un forte peso in termini di capacità autonoma di governo l’attribuzione di una potestà regolamentare assai ampia, che alla luce di quanto previsto dall’art. 4 della legge 131/03, diviene una riserva di capacità normativa, in ordine “alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite” (art. 117, 6° co.).
Sul versante dell’amministrazione attiva, le nuove disposizioni costituzionali rafforzano complessivamente il governo locale nella struttura complessiva del governo del paese, in quanto in via di principio riservano le funzioni amministrative agli enti locali, sia quelle proprie, sia quelle conferite con leggi statali o regionali. In verità, l’art. 118 privilegia, come è noto, la dislocazione delle funzioni a livello di Comuni salva l’esigenza di assicurane l’esercizio unitario a livello superiore. Tuttavia, l’assetto concreto dell’amministrazione dipende dall’integrazione del principio di sussidiarietà in senso stretto (che privilegia il livello di governo comunale) con i principi di differenziazione e di adeguatezza, nonché con il principio della titolarità di funzioni proprie che garantisce ad ogni ente di governo territoriale un proprio e tipico ambito funzionale, identificativo del suo stesso essere. In tale prospettiva, alla luce del recente processo di decentramento amministrativo e delle nuove disposizioni costituzionali, per le sue dimensioni organizzative, la Provincia risulta l’ente di governo che può mediamente rispondere meglio alle esigenze di governo di area vasta.
Le “Città metropolitane si collocano proprio nell’ambito del contemperamento dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza relativamente al complessi problemi di governo delle aree metropolitane. In tali aree vaste, le Città metropolitane sostituiscono le Province esistenti e realizzano una struttura di governo differenziata in grado di affrontare in modo adeguato i problemi di integrazione e riequilibrio territoriale, di risorse, di rapporto con i soggetti pubblici e privati, tipici del governo metropolitano.
La Città metropolitana, fino ad ora disciplinata solo a livello di legge ordinaria, diviene una nuova forma di governo territoriale locale riconosciuta a livello costituzionale. Essa si aggiunge e viene equiparata a tutti gli effetti alle tradizionali forme di ente locale. Non vi sono articoli che riguardano specificamente le Città metropolitane, ma queste vengono tout court considerate congiuntamente insieme ai Comuni e alle Province. Non appare più la preoccupazione di garantire – con disposizioni ad hoc – l’istituzione delle Città metropolitane, disciplinandone i rapporti con gli enti preesistenti, ma piuttosto una volontà di conferire pari dignità, a tutti i livelli e senza bisogno di particolari norme maieutiche, ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane.
Il Testo Unico degli Enti Locali.
La disciplina delle città e delle aree metropolitane era stata già radicalmente innovata nel 2000 dal Capo III del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs 267/2000) che aveva sostituito interamente il Capo VI della legge n. 142/90.
In particolare l’articolo 22 disciplina l’individuazione e delimitazione delle aree. Restano invariate le aree metropolitane individuate (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli), ma ritorna il meccanismo di obbligatorietà per le regioni, le quali, se gli enti locali interessati fanno conforme proposta, sono tenute a delimitare l’area metropolitana entro 180 giorni (termine da intendersi ordinatorio). In caso contrario il Governo, sentita la Conferenza Unificata, invita la Regione a provvedere entro un termine stabilito, scaduto il quale provvede in via sostitutiva.
Nelle aree metropolitane caratterizzate cioè dalla presenza di Comuni di grandissime dimensioni e di altri Comuni “i cui insediamenti hanno con essi rapporti di stretta integrazione territoriale e in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali, alla vita sociale nonché alle relazioni culturali e alle altre caratteristiche territoriali” (art. 22 t.u.), la Provincia dovrebbe trasformarsi in Città metropolitana: in un ente assai più ricco di funzioni, che assomma in sé tutte le funzioni della provincia e molte di quelle comunali, e si articola non più in Comuni ma in amministrazioni municipali decentrate nell’ambito dell’area metropolitana.
L’articolo 23 del testo unico prevede estrema libertà di organizzazione per le nuove Città metropolitane, svincolandone la costituzione da atti regionali: infatti spetta all’iniziativa del sindaco del Comune capoluogo e del Presidente della provincia, oltre agli enti locali interessati, la convocazione di una assemblea, la quale, su conforme deliberazione dei consigli comunali, adotta una proposta di statuto della città metropolitana, dove è indicato il territorio, l’organizzazione, l’articolazione interna e le funzioni.
Se tale proposta viene accettata, spetta ad ogni comune sottoporla a referendum nel proprio territorio entro 180 giorni. Se il referendum ottiene esito positivo, la proposta viene presentata dalla Regione (entro 3 mesi) al parlamento per l’approvazione con legge.
La Città metropolitana acquisisce le funzioni della provincia; nel caso in cui il territorio della città metropolitana non coincide con il territorio di una Provincia, si può procedere o all’istituzione di una nuova Provincia o alla nuova delimitazione delle circoscrizioni provinciali.
Il processo concepito dalla legge per la costruzione della Città metropolitana, tutto concertato tra gli enti territoriali coinvolti, la Provincia, il Comune capoluogo, gli altri Comuni, vede una fase intermedia nella quale, in attesa della costituzione della Città metropolitana quale nuovo ente di governo, gli enti dell’area esercitano in modo coordinato tra loro e mediante forme associative, una serie di funzioni, dalla pianificazione territoriale alla difesa del suolo alla tutela dell’ambiente, alle attività culturali, etc. (art. 24 t.u.) che afferiscono tanto alla competenza provinciale che a quella comunale.
Non può essere trascurato, tuttavia, il fatto che questo processo non sia ancora decollato e che, oggi, le nuove disposizioni del titolo V, parte II, della Costituzione impongono di riconsiderare complessivamente la disciplina della materia alla luce della nuova dimensione delle Città metropolitane, quali enti costituzionalmente necessari.
La legge 5 giugno 2003, n. 131
La legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3” tiene conto di questa nuova dimensione costituzionale delle Città metropolitane.
Non a caso, nell’ambito della delega al Governo (art. 2) per l’individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane e per l’adeguamento delle disposizioni di legge in materia di enti locali alle nuove disposizioni costituzionali, tra i principi ed i criteri direttivi è esplicitamente richiamata l’esigenza di individuare non solo le funzioni fondamentali delle città metropolitane, ma anche di adeguare la restante disciplina contenuta le D. Lgs. 267/00 (i procedimenti di istituzione, gli organi di governo, il sistema elettorale) alle nuove disposizioni costituzionali.
Il compito di costruire i lineamenti del nuovo ente è pertanto del legislatore statale e non di quello regionale, in attuazione dell’art. 117, comma 2, lettera p). Per questo motivo, nell’ambito della Commissione per l’attuazione della delega prevista dall’art 2 della legge 131/03, istituita con Decreto del Ministro dell’Interno del 24 luglio 2003, uno dei punti caldi di discussione riguarda proprio la materia delle Città metropolitane, poiché su questo punto l’UPI e l’ANCI rischiano di assumere delle posizioni totalmente contrapposte.
La posizione dell’UPI
I Presidenti delle province delle aree metropolitane e l’Ufficio di Presidenza dell’Unione delle Province d’Italia, fin dalla riunione di Bologna del 23 febbraio 2000, hanno ribadito il loro impegno nel processo di costruzione delle Città Metropolitane in una logica di creazione di ordinamenti differenziati che, superata una visione di uniformità, siano modulati su una flessibilità funzionale e pongano attenzione alle specifiche caratteristiche territoriali e sociali di ciascuna area.
In particolare, hanno riaffermato che solo attraverso una concorde azione delle Province e dei Comuni interessati che interagiscono sia sul processo di delimitazione dell’area, sia in quello di individuazione delle funzioni, è possibile giungere alla nascita delle Città Metropolitane ed hanno concordato:
1. sul modello di Città Metropolitana come ente territoriale finalizzato al governo dell’area vasta, dotato di peculiari autonomie sostenute da reali strumenti per il loro esercizio e, di massima, coincidente con il territorio della provincia;
2. sull’esercizio al livello metropolitano del complesso delle funzioni provinciali e in particolare dei compiti di regolazione e controllo dei servizi a rete (trasporti, ciclo delle acque, rifiuti, infrastrutture, ecc.);
3. sulla Conferenza metropolitana dapprima come sede per la sperimentazione dell’esercizio associato di funzioni tramite accordi, convenzioni o costituzione di uffici comuni, nonché come sede naturale nella quale incardinare il processo concertato di costruzione del nuovo soggetto istituzionale.
E’ comunque convinzione unanime dell’UPI e delle Province interessate che la Città Metropolitana corrisponde alla Provincia e che, quindi, nel nuovo assetto territoriale la Provincia deve rivestire un ruolo centrale, anche perché dove si costituisce la Città Metropolitana scompare la Provincia (e sarebbe perciò corretto parlare piuttosto di Province Metropolitana).
L’organizzazione comunale nell’ambito della Città metropolitana non scompare del tutto ma si articola nei Municipi, ai quali corrispondono i Comuni più piccoli dell’area e le Circoscrizioni del Comune più grande, secondo il modello della “Città reticolare”.
In conseguenza, nella costituzione della Città Metropolitana, ruolo fondamentale spetta alle Province nelle quali sono situate le Aree metropolitane. E’ assolutamente da escludere che la costituzione della Città Metropolitana derivi da una mera trasformazione del Comune capoluogo e dall’aggregazione dei comuni dell’hinterland poiché ciò non risolve i problemi di governo dell’area vasta e comporta una difficile complessiva riconsiderazione delle circoscrizioni delle Province limitrofe. Al contrario, la costituzione della Città Metropolitana necessariamente coinvolge la Provincia, il Comune capoluogo e gli altri comuni dell’Area, in un processo di aggregazione tra più enti le cui funzioni vengano recepite dal nuovo ente, in un processo cooperativo e non competitivo.
Una proposta per l’attuazione dell’art. 2 della legge 131/03
Alla luce di queste posizioni già espresse è possibile individuare una proposta dell’UPI in vista dell’attuazione della delega prevista dall’art. 2 della legge 131/03 e della revisione della disciplina relativa alle Città metropolitane.
Il primo punto da cui occorre partire è che oggi le città metropolitane devono essere istituite in quanto sono enti territoriali necessari, come i Comuni e le Province, previsti dalla Costituzione. Non è perciò lasciata alla discrezionalità del legislatore l’opzione se istituirle o meno. Per il resto, non esistono disposizioni costituzionali relative all’individuazione delle aree metropolitane, nonché al procedimento di istituzione e alla disciplina specifica delle funzioni e dell’organizzazione delle Città metropolitane. Le disposizioni vigenti del TU sugli enti locali possono essere un utile punto di partenza per prefigurare la futura disciplina in materia, poiché il legislatore costituzionale, nel costituzionalizzare le Città metropolitane ha certamente avuto come riferimento tale disciplina. Tuttavia, proprio dalla previsione costituzionale delle Città metropolitane come enti necessari si deve trarre spunto per una revisione della disciplina che porti a superare i ritardi e le incertezze che hanno caratterizzato questo ente territoriale.
Il secondo punto da affrontare è quello relativo all’individuazione delle aree metropolitane. La definizione dell’art. 22 del Testo Unico, tutto sommato, è accettabile in quanto l’area metropolitana è un’area, un territorio nel quale tra il comune capoluogo e gli altri comuni viciniori si crea una situazione di stretta integrazione territoriale, in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali, alle caratteristiche territoriali. Se ciò è vero l’area metropolitana non può risolversi nel territorio di un solo comune ma deve comunque coinvolgere più comuni nell’ambito di un’area vasta integrata. Essa può coincidere con l’area provinciale ed in questo caso non vi sarebbero implicazioni sulle altre circoscrizioni limitrofe. Oppure può delimitarsi al di qua o al di là della circoscrizione provinciale esistente ed in questo caso dovrebbero essere riviste di conseguenza anche le circoscrizioni delle Province limitrofe (con tutte le difficoltà del caso). Fatta questa premessa il legislatore può limitarsi a definire la sola nozione di area metropolitana, può fissare dei criteri identificativi rinviando l’individuazione dell’area a successive leggi speciali istitutive, può individuare direttamente (come adesso) le aree interessate, oppure può combinare tra di loro queste diverse soluzioni. La scelta a monte di un elenco chiuso di aree metropolitane (non necessariamente quelle previste nell’art. 22) ha il pregio di fornire un quadro preciso di riferimento alle istituzioni interessate. Per contro, il rinvio totale alla legge speciale ha il pregio di fornire una maggiore libertà al legislatore ordinario nel procedere, caso per caso, alla concreta individuazione delle aree ed alla conseguente necessaria e contestuale istituzione delle Città metropolitane.
In ogni modo, una volta individuata l’area metropolitana l’istituzione della Città metropolitana diviene necessaria e la Città metropolitana prende il luogo della Provincia esistente, trasformandosi in una “Città reticolare” al cui interno vi sono diversi municipi o comuni, di norma corrispondenti ai comuni preesistenti dell’area e alle circoscrizioni comunali del comune capoluogo. Il territorio nazionale si articolerà perciò per circoscrizioni regionali, per circoscrizioni provinciali o metropolitane ed, infine, per circoscrizioni comunali o municipali. Da una analisi letterale delle disposizioni costituzionali non è stata adottata la soluzione di porre esplicitamente in alternativa i due enti (“Province o Città metropolitane”). Ma alla alternatività si arriva necessariamente se si considerano indefettibili ed immodificabili i due livelli di governo tra i quali la Città metropolitana si dovrà inserire: il Comune e la Regione. La Città metropolitana è quindi, necessariamente, un ente di livello intermedio, con caratteristiche del tutto speciali rispetto alla Provincia ordinaria, se non altro perché chiamato ad esercitare funzioni ed erogare anche servizi (in forma particolarmente coordinata) che nel regime ordinario spettano al livello comunale (e sono spesso assicurati dal Comune capoluogo). In conclusione, le Città metropolitane sono un livello istituzionale alternativo alla Provincia, cui sono assegnate le funzioni provinciali e comunali per il governo di un’area territoriale vasta. In tale prospettiva pertanto la città metropolitana è piuttosto una “provincia speciale” ovvero una “provincia metropolitana” che diventa titolare delle funzioni di area vasta oggi esercitate dalla Provincia, delle funzioni comunali che implichino un approccio metropolitano e delle altre funzioni che possono essere trasferite dalla Regione. Sempre in tale prospettiva potrebbero trovare soluzione le problematiche relative agli organi di governo delle Città metropolitane e al loro sistema di elezione.
Il nuovo quadro costituzionale impone, inoltre, una modifica ed una semplificazione delle norme procedurali previste dal testo unico, alla luce della qualificazione della Città metropolitana quale “ente costituzionalmente necessario che comporta la scomparsa della Provincia sullo stesso territorio”. Pertanto, nell’ambito della revisione delle disposizioni del T.U. 267/00, è indispensabile disciplinare, da un lato, il potere di iniziativa in capo alla Provincia e, dall’altro, la necessaria partecipazione al procedimento dei Comuni e della Regione, rinviando ogni altra disciplina di dettaglio alla legge speciale istitutiva della Città metropolitana. La soluzione sembra quella più coerente con il nuovo titolo V della Costituzione, che pone su uno stesso piano i diversi livelli di governo. Ogni scelta che incida sostanzialmente sull’autonomia e sulla stessa esistenza delle Province dovrebbe perciò avvenire con il consenso delle amministrazioni interessate. Dal punto di vista del contemperamento dei diversi interessi appare equilibrato che sia la legge statale a procedere all’istituzione delle Città metropolitane, in analogia a quanto previsto dall’art. 133 della Costituzione, anche in connessione con il ruolo dello Stato nel processo di necessaria istituzione delle Province e dei nuovi enti di governo.
In ultimo, occorre aggiungere che l’intervento di adeguamento delle disposizioni oggi contenute nel TU 267/00 sulle Città metropolitane non deve essere necessariamente esaustivo di tutte le problematiche aperte. Molte di esse, infatti, possono essere meglio risolte nell’ambito delle leggi statali speciali che disciplinano la concreta istituzione delle Città metropolitane.
Città metropolitana e Roma capitale
Il rinvio alla disciplina della legge speciale istitutiva della Città metropolitana è, infine, coerente anche con il modello scelto per l’istituzione di Roma come città capitale, nel quale le problematiche della “città metropolitana” potrebbero facilmente essere considerate insieme a quelle della “città capitale”, vista la loro stretta interdipendenza.
Una sollecita attuazione dell’art. 114, comma 3, della Costituzione, attraverso la legge speciale su Roma capitale, in questo modo, potrebbe rappresentare un valido esempio anche per l’istituzione delle altre Città metropolitane.