Signori partecipanti in qualità di delegati o di ospiti all’Assemblea generale 2003 dell’Unione delle Province d’Italia,
quest’anno i nostri lavori sono accompagnati da un sentimento di apprensione e timore per la guerra globale e senza regole scatenata dal terrorismo e dalla sensazione di sgomento per la profonda ferita che il terrorismo ha inferto alla missione di pace italiana in Iraq.
Affetto per i Caduti, paura per chi è ancora in missione di pace, pena per le famiglie, angoscia per la convinzione che ormai ci siamo fatta, dopo i fatti di Istanbul, di vivere con il terrorismo in casa.
Sino a qualche anno fa noi italiani, e le forze militari con noi, conoscevamo con chiarezza i valori per cui combattere e morire. Oggi 19 uomini hanno speso il loro coraggio in Iraq per un’idea di patria non facilmente definibile. Un’idea diversa da quella che noi stessi abbiamo avuto sino a pochi anni fa.
19 italiani sono morti per una patria intesa come adesione a una comunità sovranazionale di valori minacciata dal terrorismo. Non è sempre facile riconoscerla e farla propria, questa comunità di popoli e di valori, e forse è soprattutto per questo che un sacrificio così grande non ci riesce in nessun modo di accettarlo.
Quale deve essere, in un passaggio tanto delicato per le complesse implicazioni d’ordine nazionale ed internazionale, il nostro ruolo di associazione e di province?
In ambito nazionale e locale dobbiamo continuare ad essere il presidio lucido e convinto della coesione istituzionale.
Dobbiamo continuare ad essere il catalizzatore dei processi di convergenza delle istituzioni e delle comunità sui valori di unità, pace, giustizia, sicurezza.
Dinanzi alle barbarie del terrorismo dobbiamo operare per rinvigorire le logiche dell’unità, nella convinzione che altri sono i momenti della differenziazione.
Come Unione delle Province d’Italia abbiamo un compito egualmente importante: costruire in noi, tra le nostre comunità, ma anche in Europa, l’idea della nuova comunità di popoli e di valori in cui credere.
Sarà più semplice, per noi, accettare 19 morti tanto assurde se nelle istituzioni europee riusciremo ad adottare, come regola generale, il sistema del voto a maggioranza. Se accetteremo di alimentare un’unica forza militare comune che porti soccorso alle povertà erranti nel mondo, ma che soprattutto custodisca i nostri confini dagli assalti di una criminalità organizzata che si arricchisce e si fa scudo di queste povertà.
Sarà più semplice per noi sostenere con orgoglio e convinzione le missioni di pace nel mondo se daremo vita ad un’unica agenzia europea per la protezione civile, che metta in comune uomini e risorse nazionali contro terremoti, alluvioni ed incendi.
La vita stroncata di 19 italiani avrà un senso permanente nella nostra storia, e non solo nel dolore delle loro famiglie, se come Europa saremo pronti a rinunciare ai seggi nazionali al Fondo Monetario Europeo e persino all’ONU, decidendo di farci rappresentare, in quelle sedi, da un unico voto, da un voto che conti.
Questo è il ruolo primario, ancor prima di quello nostro proprio di rappresentare gli interessi dei territori, che intendiamo svolgere in Europa, nell’esercizio delle nuove funzioni che la proposta di Costituzione europea ci riconosce, nell’ambito del Comitato delle regioni.
1. La Provincia dei cittadini
Signori ospiti, colleghi rappresentanti delle province d’Italia,
già il tema della nostra assemblea, che ha posto al centro del dibattito i cittadini, i loro diritti alla sicurezza ed allo sviluppo, ricorda quanto, negli ultimi anni, le province siano cresciute, contribuendo allo sviluppo del Paese, creando una rete di coordinamento istituzionale e sociale che ha corrisposto alle esigenze di sviluppo dei cittadini e delle imprese.
Abbiamo cioè costruito i sistemi locali, raccogliendo intorno alla nostra istituzione le capacità e potenzialità di cui l’Italia dispone, trasformando le energie delle 100 province italiane in motore di sviluppo nazionale.
Aiutati da un ordinamento, che ha colto le necessità di creare unità e sviluppo a partire dai singoli territori, abbiamo avviato, già con la legge 81, cambiamenti decisivi, in sintonia con le attese delle nostre comunità.
Abbiamo contribuito copiosamente alla crescita di una nuova classe dirigente, responsabilizzata dal rapporto diretto con gli elettori, che nella nuova normativa – che ha reso centrale il ruolo della provincia sui temi dello sviluppo – ha trovato la spinta giusta per crescere e affrontare con strumenti idonei le crescenti sfide della modernità.
L’elezione diretta dei presidenti di provincia ha dato cioè, oltre al presupposto della governabilità, gli strumenti essenziali al cittadino per scegliere tra diverse proposte politiche e diversi programmi; ma ha dato anche agli eletti la responsabilità e gli strumenti per adempiere al patto elettorale.
Grazie a tali strumenti, gli enti locali hanno potuto, in questi anni, programmare ed amministrare con chiarezza di indirizzo politico e assunzione di precise responsabilità.
Anche, e soprattutto per questa via, gli italiani hanno riscoperto il valore di esser parte della Repubblica e hanno ricostruito il rapporto di fiducia con la politica e le istituzioni.
Non è una millanteria, ma è l’esatto sentimento degli italiani, rilevato da un’indagine-sondaggio effettuata dall’Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione del prof. Mannheimer , condotta su un campione di 4.443 intervistati, tra il 7 e l’8 novembre scorso.
I risultati dell’indagine rilevano almeno tre aspetti fondamentali:
1. La “provincia” è un fattore emotivo e sentimentale di prima grandezza per i cittadini italiani e, pertanto, concorre, quasi nella stessa misura del comune e della regione, nello strutturare il loro senso di appartenenza alla Nazione e nel motivarne l’orgoglio di essere italiani.
2. Il secondo dato di rilievo è che i cittadini italiani annettono enorme importanza ai compiti e funzioni che la provincia svolge, anche se non conoscono precisamente che quei compiti e quelle funzioni sono propri delle province.
3. Il terzo aspetto fondamentale rilevato dall’indagine è che, nel novembre 2003, 64 italiani su 100 ritengono che la provincia sia un’istituzione molto utile o abbastanza utile. Se pensiamo che, nel dicembre 1998, lo ritenevano solo 56 italiani su 100 si ha l’idea di quanto abbiamo lavorato in questi anni, come Unione delle Province d’Italia e come singole province, per farci riconoscere, per farci apprezzare, per farci amare come istituzione importante ed utile per i cittadini.
Questi risultati sono stati fortemente aiutati dal decentramento amministrativo e dalla modifica del titolo V della costituzione, che hanno centrato il nuovo modo d’essere dell’ente provincia e ne hanno anche accelerato il processo di modernizzazione e radicamento sociale.
La chiara attribuzione alle province di funzioni fondamentali connesse alla scuola, alla formazione, alla tutela ambientale e al lavoro, ha dato corpo ad un soggetto dimostratosi essenziale per la progettazione e la costruzione delle strategie di sviluppo locale.
I governi di area vasta crescono ed aiutano il Paese a crescere, perché lo stesso sistema economico si è evoluto, richiedendo competitività territoriale e puntando sulla dimensione locale.
E’ necessario, quindi, proseguire su questa strada, evitando ulteriori inutili frammentazioni.
Ad oggi giacciono in parlamento più di cinquanta proposte, per lo più di iniziativa di singoli parlamentari, di istituzione di almeno trenta nuove province.
Si tratta di iniziative che rischiano di indebolire un sistema consolidato, che deve invece continuare ad essere rafforzato, per poter rispondere al meglio alla sfida del federalismo.
Per queste ragioni riaffermiamo con determinazione il nostro “no” all’istituzione di nuove province, che abbiamo affermato anche dinanzi alle commissioni parlamentari competenti, nel corso della recente audizione, sottolineando che il voto della camera dei deputati, che istituisce tre nuove province, destabilizza il sistema amministrativo, depotenzia il ruolo istituzionale dell’ente provincia, danneggia nel merito e nei contenuti gli interesse dei cittadini coinvolti per assecondarne, nell’immediato, l’interesse localistico, non scevro da venature elettoralistiche.
Per la gravità delle conseguenze connesse alla proliferazione di province chiediamo al governo – quel governo che risponde “no” alle esigenze primarie di funzionamento delle province che esistono, ma assicura una qualche copertura finanziaria a province inesistenti – chiediamo al governo di sciogliere ogni ambiguità, desistendo da comportamenti che, frammentando la maglia istituzionale, rendono inefficace il ruolo istituzionale proprio dell’ente provincia e danneggiano gli interessi delle comunità.
2. Sicurezza e sviluppo locale
Che senso ha, oggi, che le province italiane discutano dei diritti dei cittadini alla sicurezza e allo sviluppo?
Lo ha sicuramente in senso classico. In questi ultimi anni, infatti, le province hanno costituito complessi e organici corpi di polizia provinciale che non solo garantiscono la vigilanza negli ambiti delle funzioni amministrative proprie dell’ente, ma rispondono più direttamente anche alla generale domanda di sicurezza.
In questi anni, pur avversate dai vincoli del patto di stabilità interno, le province hanno investito risorse enormi nei corpi di polizia provinciale che oggi non soltanto presidiano l’ambiente, non soltanto garantiscono sicurezza sulle strade, ma svolgono azioni integrate con i corpi di polizia municipale e con gli organi di sicurezza.
Investimenti in logistica, in organizzazione, in professionalità e capacità di integrazione, però, non bastano.
Avvertiamo la necessità che l’ordinamento preveda un autentico ed efficace coordinamento istituzionale tra i corpi di polizia locale e le forze dell’ordine. A questo fine i comitati per la sicurezza e l’ordine pubblico possono essere sin da ora la sede naturale in cui esprimere le necessarie integrazioni e collaborazioni in materia di sicurezza.
Sicurezza, però, è un concetto più ampio di quello classico, come dimostra la recente indagine effettuata dall’ISPO . I cittadini chiedono sicurezza in materia di risorse idriche ed energetiche, di difesa del suolo, di tutela e valorizzazione dell’ambiente, di protezione della flora, della fauna, dei parchi e delle riserve naturali, di prevenzione delle calamità con idonee politiche idrogeologiche.
I cittadini chiedono sicurezza sulle strade, nelle scuole e ogni volta che occorra far fronte a calamità naturali di ogni tipo.
Proprio perché connesse a funzioni e compiti di nostra competenza, queste esigenze di sicurezza investono e coinvolgono la nostra stessa missione.
Come vedete, al centro della nostra assemblea, abbiamo posto il “modello” di provincia che l’ordinamento ha disegnato e che il cittadino riconosce e richiede.
Come vedete, in questo “modello” c’è molto di nuovo, che si somma all’atro compito fondamentale che, come province, abbiamo, di predisporre e attuare il progetto di sviluppo del territorio, lavorando per accrescere la competitività del sistema economico locale.
I nuovi compiti, quindi, si integrano con i nostri terreni di lavoro fondamentali , che sono:
– L’ambiente e il lavoro, asse portante di ogni nostra funzione;
– La programmazione urbanistica e delle funzioni dei territori;
– L’investimento innovativo in agricoltura, attraverso i piani agricoli triennali provinciali;
– La piena appropriazione delle funzioni relative alla programmazione negoziata, a partire dalla predisposizione dei contratti di programma;
– La strutturazione del sistema turistico-culturale locale, anche attraverso la creazione dei distretti-impresa previsti dalla legge-quadro nazionale sul turismo;
– L’ammodernamento del sistema infrastrutturale, particolarmente quello legato alle esigenze produttive e ai sistemi urbani;
– Le azioni per l’orientamento, la formazione e il lavoro;
– La promozione e il sostegno alle azioni di marketing territoriale.
3. La finanziaria 2004: una scelta in controtendenza
Per il terzo anno consecutivo, dopo il varo della riforma costituzionale, la proposta di legge finanziaria 2004 testimonia l’involuzione dei rapporti tra lo stato e le autonomie locali.
La centralizzazione di scelte fondamentali per il Paese in materia di finanza locale, dimostra ancora una volta la chiusura del governo nei confronti di istituzioni che non si sono mai sottratte al dovere di collaborare al risanamento della finanza pubblica.
Le province italiane, infatti, non solo hanno complessivamente rispettato, sin dall’anno 2000, il patto di stabilità interno, ma hanno anche dimostrato nei fatti grandi capacità di buongoverno, riuscendo a svolgere le nuove funzioni, oltre a quelle tradizionali, migliorando persino l’equilibrio dei propri bilanci.
Sulla base di un’indagine condotta dall’Upi sui bilanci di 60 province su 100, dal 2000 al 2002, a fronte di un aumento delle entrate del 39,6%, vi è stato un aumento della spesa corrente del 34,3 % e della spesa in conto capitale del 39,4 %. I dati sul personale della Ragioneria generale dello Stato indicano che la spesa per il personale delle province è inferiore al 25 % del totale delle spese provinciali.
Questi dati confermano la tendenza alla crescita delle funzioni provinciali, ma allo stesso tempo dimostrano la nostra capacità di gestire le risorse in modo efficiente, di proiettarci all’esterno e di aumentare gli investimenti indirizzati alle sicurezze dei cittadini e dei territori.
Con la finanziaria 2004, le province perdono d’un colpo circa 500 milioni di euro.
370 milioni di euro saranno sottratti alla spesa corrente, come concorso delle province al rispetto del patto di stabilità interno.
130 milioni di euro, saranno invece i tagli effettivi, rappresentati da minori trasferimenti, dal mancato riconoscimento del tasso d’inflazione, dal mancato rimborso degli ecoincentivi IPT e dal mancato stanziamento in favore dei Centri per l’Impiego, taglio che, oggi, nel contesto della liberalizzazione del mercato del lavoro introdotta dalla riforma Biagi, appare insostenibile.
Per questa ragione, chiediamo al parlamento di far proprie le nostre richieste di modifica del disegno di legge finanziaria, per quel che concerne:
– l’eliminazione della sanzione relativa alla limitazione della spesa del 10% per beni e servizi, che di fatto comporterebbe, in caso di sforamento, una specie di commissariamento, contrario ad ogni principio di autonomia;
– l’allentamento dei vincoli del patto di stabilità per il 2004, al fine di attenuarne gli effetti di paralisi delle nostre attività;
– il rimborso degli ecoincentivi, che hanno procurato ai nostri bilanci una sensibile riduzione di gettito;
– la effettiva garanzia di riscossione dell’addizionale sul consumo di energia elettrica, in un momento in cui la liberalizzazione del mercato energetico ha introdotto nuovi soggetti produttori, di difficile individuazione;
– l’eliminazione delle insostenibili misure e procedure che hanno di fatto procurato il blocco totale delle assunzioni.
Se il parlamento non introdurrà le modifiche richieste, la finanziaria 2004 rischia di compromettere l’organicità delle riforme costituzionali rispetto a scelte già compiute e vigenti, ma anche rispetto alle intese sul federalismo fiscale, sottoscritte col governo nel giugno 2002. La proroga per tutto il 2004 dei lavori dell’Alta commissione, introdotta dalla stessa legge finanziaria, rischia, infatti, di rinviare l’attuazione della norma costituzionale sul federalismo fiscale alla prossima legislatura.
4. Una transizione istituzionale da concludere
Quest’insieme di ritardi e rinvii accresce sempre più il senso di instabilità istituzionale e radica la convinzione di essere destinati a convivere con un senso di transizione permanente.
Questo non è il momento delle attese, ma delle scelte e delle decisioni, purchè coerenti con le scelte già fatte e le decisioni già assunte.
Uno dei primi nodi da sciogliere è certamente quello relativo al rapporto tra giunta e consiglio.
In particolare, occorre ridefinire in maniera chiara e soddisfacente il ruolo e le funzioni del consiglio, affrontando un tema delicato rimasto per troppo tempo sullo sfondo, che riguarda, insieme ai comuni e alle province, anche le regioni.
Si avverte oggi in modo diffuso l’esigenza di garantire maggiore efficacia e funzionalità all’azione delle assemblee elettive, affinché possano esercitare concretamente il ruolo di indirizzo politico, di rappresentanza e partecipazione democratica, senza però mettere in discussione i principi ispiratori della legge 81. Questo ragionamento potremo svilupparlo prossimamente, allorquando occorrerà adeguare il testo unico degli enti locali alla legge attuativa della riforma del titolo V (legge La Loggia).
Accanto alla necessità di ridefinire il ruolo e le funzioni delle assemblee elettive, avvertiamo l’eguale esigenza di concludere sollecitamente l’oramai più che decennale processo di riforma istituzionale.
Il governo si era impegnato con noi, nell’intesa interistituzionale del 20 giugno 2002, a dare attuazione all’art. 119 della costituzione con l’introduzione nel sistema di finanza pubblica dei principi e delle regole del federalismo fiscale e a procedere all’integrazione della commissione bicamerale per le questioni regionali con i rappresentanti di regioni e autonomie locali.
Quegli impegni sono rimasti lettera morta.
Sta invece andando avanti l’attività di attuazione della cd. legge La Loggia che, tra le altre cose, prevede una delega al governo per l’individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane e la revisione del testo unico degli enti locali.
Nell’attuazione della delega occorre dare priorità all’individuazione delle funzioni fondamentali delle province, che dovranno definirne la nuova carta d’identità. Una carta ed un’identità che vadano bene a tutte le 100 province italiane e che valorizzino il ruolo di ente di governo di area vasta che le stesse province hanno conquistato con la riforma costituzionale ed il processo di decentramento delle funzioni amministrative.
Uno dei punti delicati di attuazione della legge-delega è relativo alla disciplina delle città metropolitane, anch’esse ritenute soggetti di rilevanza costituzionale.
Su questo tema occorre superare i ritardi esistenti, definendo procedure chiare per l’istituzione e il funzionamento delle città metropolitane. In ogni modo, le province intendono esercitare un ruolo determinante nel processo istitutivo dei nuovi soggetti, cui sono assegnate le funzioni territoriali di area vasta proprie delle istituzioni provinciali.
Se le città metropolitane, nell’attuale ordinamento, si presentano come istituzioni che ampliano e, quindi, superano l’attuale provincia, occorre allora garantire che la provincia coinvolta sia protagonista del processo di istituzione del nuovo ente.
Per queste ragioni auspichiamo che l’istituzione delle città metropolitane sia il risultato di un processo di concertazione istituzionale e di un’intesa tra le province e i comuni interessati, in particolare con i comuni capoluogo e, a tal fine, invitiamo l’ANCI a definire con noi una proposta unitaria.
5. La concertazione istituzionale
L’incertezza e la preoccupazione sul futuro viene amplificata dalle aspre discussioni che, sulle prospettive istituzionali, emergono tra i partiti della maggioranza e dal fatto che, nel dibattito su questi temi, gli enti locali vengono praticamente tenuti all’angolo.
Come se non bastasse, parlamento e governo continuano a comportarsi come se nulla fosse cambiato, legiferando, ad esempio, in materie di competenza legislativa regionale; ignorando intese e patti sottoscritti con le autonomie locali; predisponendo politiche fiscali e finanziarie che rinnegano la stessa riforma costituzionale che si accingono ad attuare.
L’esperienza recente testimonia, quindi, un forte stato di incomunicabilità tra parlamento e governo da un lato ed autonomie locali dall’altro.
Dinanzi a questo stato di cose, il sistema delle autonomie locali nel suo insieme non ha saputo mantenere il necessario livello di unità.
Dobbiamo quindi compattare il fronte autonomistico sugli obiettivi importanti e comuni, lavorando insieme nei confronti del governo per recuperare il valore della concertazione interistituzionale.
Questo è un fronte fondamentale del nostro impegno, che assumo formalmente, in nome dell’intera Unione, dinanzi ai rappresentanti del governo qui presenti, che ringrazio anche per la partecipazione ai lavori della nostra assemblea generale.
La concertazione, nei nostri intendimenti, è uno strumento evoluto di democrazia, che aiuta l’esercizio delle responsabilità e costruisce le soluzioni migliori.
Quel che oggi succede a Scanzano Ionico, inopinatamente localizzata sito nazionale delle scorie radioattive, dimostra che la concertazione è talvolta, più che opportuna, necessaria, perché previene tensioni gravi e conflitti sociali irreparabili.
La concertazione, però, nei nostri intendimenti è cosa diversa dall’espressione di pareri e note tecniche.
Con questo intendo dire che dobbiamo rilanciare e rafforzare il ruolo delle conferenze, che sono sempre più un vuoto “parerificio” e sempre meno la sede dell’intesa tra lo stato e gli enti territoriali.
La stessa conferenza unificata non riesce quasi più ad affrontare nodi politici o istituzionali, neppure quelli fondamentali per l’assetto istituzionale del Paese, come è avvenuto per il disegno di legge di riforma della costituzione.
Ancora più grave è lo stato di funzionalità della conferenza stato-città, che non riunisce da diversi mesi e a cui è stato sottratto persino il confronto sulla finanziaria 2004.
Sempre in tema di attuazione degli obblighi connessi alla riforma costituzionale, è paradossale il ritardo del parlamento nell’integrazione della commissione bicamerale per le riforme costituzionali con i rappresentanti di regioni, province e comuni.
A nostro avviso, non si tratta di semplice ritardo, benché grave, ma di un quieto consenso del governo all’incapacità del parlamento di trovare su questo tema un accordo soddisfacente tra tutte le forze politiche.
Rileviamo la gravità di questi comportamenti, che minano alla radice una lungimirante scelta del legislatore che, attraverso tale organismo, ha precostituito l’idea di un senato federale misto.
6. Il Senato federale misto
Sin dalla approvazione della riforma del titolo V abbiamo evidenziato la necessità di completare la riforma costituzionale con l’istituzione della camera delle autonomie territoriali e con la previsione dell’accesso di comuni, province e città metropolitane alla corte costituzionale.
Il disegno di legge costituzionale approvato dal governo e attualmente all’esame della commissione affari costituzionali del senato completa il percorso riformatore, anche se il suo iter approvativo ha saltato a pié pari il momento del confronto con le autonomie all’interno della conferenza unificata.
Auspichiamo che il momento della concertazione, mancato in fase di predisposizione del disegno di legge, venga recuperato nel corso dell’iter parlamentare.
Per quel che riguarda il merito e i contenuti del progetto di riforma, il direttivo dell’Unione e l’assemblea dei presidenti di provincia hanno concentrato l’attenzione su due punti:
1. Il superamento dell’attuale bicameralismo paritario impone l’istituzione di un vero senato federale, in cui i diversi livelli territoriali costitutivi della Repubblica (comuni, province, città metropolitane e regioni) siano direttamente in esso rappresentati. La soluzione proposta nel disegno di legge, invece, è quella di un senato composto da membri eletti a suffragio universale, che non garantisce una vera rappresentanza dei territori, né delle autonomie territoriali. Per questi motivi, abbiamo avanzato alla commissione affari costituzionali del senato una proposta di senato federale con composizione mista, in parte espressione diretta del corpo elettorale, in parte espressione indiretta delle autonomie territoriali.
2. A nostro parere, la vera garanzia di un diritto sta nella possibilità di difenderlo dinanzi a un giudice. Anche su questo punto, perciò, abbiamo richiesto che sia consentito ai comuni, alle province e alle città metropolitane, in quanto elementi costitutivi della Repubblica a pari titolo delle regioni e dello stato, di ricorrere alla corte costituzionale in difesa delle proprie attribuzioni costituzionali oltre che in difesa della propria autonomia dagli atti legislativi statali e regionali che la ledano.
7. Province europee
Se le province sono cambiate, e se dovranno cambiare ancora di più, è naturale che cambi anche il modo d’essere dell’Unione delle Province d’Italia, che cambino le sue priorità e le sue scelte fondamentali.
Dovremo, quindi, continuare ad essere associazione e sindacato istituzionale, ma dobbiamo anche diventare sempre più struttura di supporto delle Unioni regionali e delle province, per rafforzarne il ruolo nei territori e per irrobustirne l’operatività in sede europea.
Strumento importante per cooperare, comunicare e fare sistema è il nostro portale interattivo, di recente attivato e presentato, che non solo favorisce il coordinamento tecnico e politico tra Unione nazionale, Unioni regionali e singole province, ma consente un’esperienza permanente di scambio di informazioni sulle innovazioni istituzionali e sulla diffusione delle buone pratiche avviate dalle singole province.
Il rapido mutamento istituzionale in atto, che è tanto veloce in ambito nazionale quanto in ambito europeo, consente ai soggetti di governo locale di svolgere un ruolo importante in Europa, attraverso un’incisiva utilizzazione degli strumenti e delle opportunità che l’Unione europea consente.
Per accompagnare le province in questo impegnativo percorso, che le aiuti nel progressivo adeguamento strutturale, organizzativo e professionale, abbiamo stipulato con TECLA (associazione per la cooperazione transregionale locale ed europea) apposita convenzione.
Si tratta ora di concretizzare in via generale gli occorrenti processi di cambiamento, con l’istituzione, in ogni provincia, dell’Ufficio Europa. Si tratta anche di sviluppare al massimo le potenzialità insite nel protocollo d’intesa che abbiamo siglato con TECLA e con FORMEZ, che ha avviato il “Programma Ufficio Europa delle Province Formez UPI”, investendo sempre di più in progetti di eccellenza, tralasciando quelli di mero impatto formale.
In questo contesto sempre più proiettato in Europa stiamo valutando se, dopo aver fornito alle province strumenti di supporto allo sviluppo della partecipazione ai programmi e alle iniziative comunitarie, si possa utilizzare la struttura di TECLA, già operante a Bruxelles, per farne il punto di riferimento delle province italiane nei confronti delle istituzioni comunitarie. Sarebbe un bel passo avanti per rafforzare la nostra presenza in Europa e per costruire il progetto di sviluppo delle nostre comunità tenendo conto di quel avviene in ambito comunitario.
Signori ospiti e colleghi che rappresentate le 100 province d’Italia,
si conclude in questi giorni il quarto anno del nostro mandato e si apre il nostro ultimo anno di attività. Già dal giugno 2004 molti di noi saranno impegnati in altre attività o con diversi oneri di rappresentanza.
Se non avesse prevalso l’urgenza dei delicatissimi temi sui quali ancora ci confrontiamo con il parlamento, con il governo e le regioni, sarebbe stato giusto dedicare i nostri lavori ad un analitico consuntivo dell’attività svolta e dei risultati conseguiti in questi anni.
Il valore di quel che abbiamo realizzato è misurabile dalla qualità e novità degli obiettivi che il tema dell’assemblea generale ha delineato nel nostro orizzonte. Dobbiamo fare attenzione affinché la grandezza di questi obiettivi non sminuisca il valore dei risultati importanti che già abbiamo conseguito.
Tra questi, c’è un risultato di cui siamo particolarmente orgogliosi.
Abbiamo vissuto in questi anni col governo dell’Ulivo e col governo della Casa delle Libertà.
Abbiamo affrontato i temi delicatissimi di una crisi della finanza pubblica pagata soprattutto dagli enti locali.
Abbiamo trattato questioni che hanno diviso le forze politiche nazionali anche all’interno delle coalizioni.
Ma noi siamo rimasti uniti ed abbiamo espresso permanentemente posizioni unitarie, al di fuori di ogni logica di appartenenza e al di là di ogni schematismo culturale e geografico.
Al di là dei risultati raggiunti, che pure consideriamo eccezionali, è l’unità associativa il risultato fondamentale che abbiamo saputo garantire e preservare.
Quest’unità, signori rappresentanti delle province d’Italia, resterà valore determinante nei prossimi anni e contribuirà, anche nei tornanti difficili della storia della Repubblica, a cementare l’unità del Paese.