DOCUMENTO. OSSERVAZIONI SUL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE DEL GOVERNO “SOPPRESSIONE DI ENTI INTERMEDI” ovvero ABOLIZIONE DELLE PROVINCE
Ordine del Giorno
dell’Assemblea dei Presidenti di Provincia, dei Presidenti dei consigli provinciali e del Consiglio direttivo UPI
riuniti a Roma 15 settembre 2011
Il Consiglio dei Ministri ha approvato l’8 settembre 2011, il disegno di legge costituzionale per la “soppressione di enti intermedi”, ovvero per l’abolizione delle Province.
Questa scelta corrisponde alla volontà di inseguire le derive demagogiche, ma non segue un coerente disegno di riforma delle istituzioni, legato alla storia del nostro Paese.
Con la proposta di una modifica del titolo V, parte II, che cancella la parola “Province” dalla Costituzione, il Governo si contrappone alle scelte della maggioranza parlamentare, che solo il 5 luglio scorso, su questo tema, si era opposta palesemente alle proposte abolizioniste di alcune forze politiche e aveva manifestato un orientamento favorevole alla razionalizzazione (e non alla soppressione) delle Province.
Questa scelta comporta una immediata delegittimazione politica delle Province, quali istituzioni costitutive della Repubblica, e degli amministratori provinciali, che sono stati eletti a suffragio universale, direttamente dal popolo.
• La Costituzione prevede che la Repubblica sia costituita da Comuni e Province come enti di governo locale esponenziali di una comunità territoriale e come imprescindibili presidi di un ordinamento pluralistico e democratico.
• Principio fondamentale della Costituzione, all’art. 5, è il riconoscimento e la promozione delle autonomie locali che sono legate alla storia del Paese (i Comuni e le Province) e la Corte costituzionale ha più volte affermato che i principi fondamentali della Costituzione non possono essere oggetto di revisione costituzionale.
• Ma, ancor di più, questa scelta costituisce un vulnus alla rappresentanza democratica dei territori. Mentre la gran parte dei corpi sociali è organizzata a livello provinciale si fa venire meno l’istituzione democratica che dovrebbe rappresentarli. Viene meno la tradizionale organizzazione dei poteri locali tra il Comune capoluogo e il territorio circostante, che vede nella Provincia l’ente esponenziale che consente di raccordare l’area vasta e i territori rurali intorno al centro urbano di riferimento.
• Allo stesso tempo, questa scelta stravolge la riforma del titolo V, parte II, della Costituzione, poiché rimette in discussione l’equilibrio che nel 2001 si era raggiunto tra le Regioni e le Autonomie locali, senza risolvere i principali problemi che la riforma costituzionale del 2001 presentava, ovvero la mancata istituzione del Senato federale e il mancato riconoscimento dell’accesso alla Corte costituzionale per le autonomie locali.
• Nella prospettiva di un riordino complessivo delle istituzioni pubbliche è evidente che occorre ripensare profondamente il ruolo degli enti intermedi per l’esercizio delle funzioni d area vasta, come è indicato chiaramente anche nella relazione al ddl costituzionale, tenendo conto che essi esistono in tutti i grandi paesi europei e sono considerati come essenziali nella Carta europea delle autonomie locali.
• Da una prima analisi degli articoli del ddl costituzionale approvato dal Governo sulla soppressione di enti intermedi emergono invece profonde incoerenze di sistema.
1. Nella Rubrica del titolo V non ci sono più le Province; la Repubblica è costituita da Comuni, Città metropolitane e Regioni, ma le Città metropolitane non esistono, né sono individuate chiaramente nella loro natura nel loro ordinamento. Così la Repubblica è costituita in Costituzione dalle Città metropolitane mentre non è più costituita dalle Province, che nella storia unitaria di 150 anni hanno rappresentato l’ente di area vasta intorno al quale si è organizzata anche la presenza dello Stato nel territorio.
2. Si esalta la schizofrenia dell’ordinamento locale in parte affidato allo Stato (per Comuni e Città metropolitane) e in parte affidato alle Regioni (in toto nelle Regioni a statuto speciale e limitatamente alla disciplina degli enti di area vasta e dell’esercizio associato delle funzioni comunali nelle Regioni a statuto ordinario).
3. Questo ha delle gravi conseguenze sull’organizzazione dell’amministrazione periferica dello Stato che fino ad ora si è identificata con i territorio provinciale e che dipenderà in futuro dalle scelte autonome operate dalle Regioni, con la conseguente schizofrenia nell’organizzazione degli uffici periferici delle amministrazioni centrali, che tra l’altro nella disposizioni introdotte nella manovra estiva dovevano essere riorganizzati profondamente attraverso il meccanismo della “spending review”.
4. Questa scelta infine porta oggettivamente alla definitiva chiusura del percorso di attuazione dell’art. 119 della Costituzione in materia di federalismo fiscale e causa la cancellazione delle norme sull’autonomia di entrata e di spesa delle Province e il percorso di autonomia e responsabilità che era stato avviato.
• La scelta della regionalizzazione delle Province, contestabile in sé, potrebbe avere una sua coerenza costituzionale solo se tutto l’assetto del governo locale (per Comuni, Province e Città metropolitane) fosse affidato alla competenza legislativa regionale, inserendo in Costituzione precisi elementi di garanzia sulla democraticità dei loro organi, sulle funzioni, sulle risorse e sulla possibilità di ricorso alla Corte costituzionale a difesa delle loro attribuzioni locali, come avviene negli ordinamenti di tipo federale, come quello tedesco. Anche se ciò non sembra coerente con la nostra tradizione amministrativa ripresa dalla Costituzione del 1947, in quanto le forze politiche del tempo pensavano ad una garanzia dello Stato nella disciplina del governo locale per assicurare un uguale trattamento ai cittadini di tutto il territorio nazionale, la regionalizzazione dell’assetto degli enti locali si può giustificare con un impianto di tipo federale che faccia assumere alle Regioni un più esplicito ruolo legislativo e di programmazione e che riservi allo Stato centrale il compito di assicurare l’unità giuridica ed economica della Repubblica.
• La scelta costituzionale di abolizione delle Province ingenera infine ulteriore confusione, pone nel caos le amministrazioni territoriali che oggi dovrebbero essere in prima linea a cercare di dare risposte sulla crisi, causando disservizi per i cittadini e i territori e portando ad un sensibile aumento della spesa pubblica. La mancanza di indirizzi certi al legislatore regionale comporta infatti il rischio che le funzioni di area vasta siano allocate concretamente a livello regionale con l’aumento dei costi derivanti dal passaggio del personale nel comparto delle Regioni e la conseguenza di favorire ulteriormente le tendenze già in atto di centralismo amministrativo regionale.
Ordine del giorno
Alla luce delle esposte osservazioni, l’Assemblea dei Presidenti di Provincia, dei Presidenti dei consigli provinciali e il Consiglio direttivo dell’UPI, riuniti a Roma, il 15 settembre 2011 approvano le seguenti proposte, sottolineando l’assoluta contrarietà rispetto al percorso di riforma costituzionale avviato dal Governo senza il minimo coinvolgimento delle Province.
Le Province non possono essere considerate il “capro espiatorio” dei mali della Repubblica per la risoluzione dei problemi dei costi della politica: occorre ricordare che sui costi della politica delle Province si è già intervenuti in profondità mentre poco è stato fatto su altri livelli di governo.
1. Le Province non si tirano indietro rispetto all’esigenza di una profonda riforma, ma rivolgono un appello al Parlamento perché affronti in modo coerente un percorso di riordino istituzionale che riguardi tutte le istituzioni della Repubblica.
2. Per riordinare il sistema istituzionale italiano occorre intervenire in modo coerente su tutti i livelli di governo e di rappresentanza democratica con modifiche di carattere strutturale:
– riduzione del numero dei membri della Camera dei Deputati e istituzione del Senato federale come Camera delle Regioni e delle Autonomie locali;
– riduzione del numero dei Ministeri e dell’amministrazione periferica dello Stato;
– dimensionamento delle Regioni per assicurare la competitività dei territori, definizione dei poteri legislativi regionali e rivisitazione delle Regioni a statuto speciale;
– accesso alla Corte Costituzionale per Comuni, Province e Città metropolitane;
– dimensionamento delle Province ed istituzione delle Città metropolitane;
– dimensionamento dei Comuni e disciplina coerente dello forme associative comunali.
3. L’UPI, l’ANCI e la Conferenza delle Regioni hanno stipulato un patto e avviato un percorso comune per arrivare a proposte condivise di autoriforma e di riordino delle istituzioni territoriali che possono avvenire da subito, a Costituzione invariata.
4. E’ evidente che sono necessari anche interventi puntuali di revisione costituzionale che, però, devono portare al completamento della riforma del titolo V, parte II, della Costituzione, e non al suo stravolgimento.
5. Come abbiamo indicato già in Parlamento e come è previsto in diversi disegni di legge presentati alla Camera dei Deputati, per affrontare in modo coerente il tema delle Province e del governo di area vasta, la via maestra è quella della revisione dell’art. 133 della Costituzione, per assegnare alle Regioni, in tempi rapidi e con procedure chiare, il compito di ridisegnare in modo adeguato la maglia amministrativa del livello di governo provinciale e metropolitano, arrivando in questo modo ad un più adeguato dimensionamento delle Province, coerente con l’impianto della Repubblica delle autonomie delineata nell’articolo 5 della Costituzione e con lo svolgimento ottimale delle funzioni di area vasta e, allo stesso tempo, all’istituzione delle Città metropolitane (con la contestuale soppressione delle Province) come enti per il governo integrato delle aree metropolitane.
L’Assemblea dei Presidenti di Provincia, dei Presidenti dei consigli provinciali e il Consiglio direttivo dell’UPI si impegnano a promuovere una forte azione di sensibilizzazione presso tutti i partiti politici e i gruppi parlamentari affinché le proposte contenute nel presente documento e nell’ordine del giorno siano condivise e determinino una modifica del disegno di legge del Governo nel senso di riaffermare la necessità delle Province come livello di governo territoriale previsto nella Costituzione, sia nelle Regioni a statuto ordinario che nelle Regioni a statuto speciale.
Redattore: Redazione