Questi i principali nodi evidenziati nel documento allegato che il Presidente dell’Upi Antonio Saitta ha illustrato in audizione alla Commissione Parlamentare per l’Attuaizone del federalismo fiscale.
La scelta prima di tutto politica che aveva guidato governi e parlamento a definire in Italia un sistema economico istituzionale di tipo federalista si fondava su tre pilastri:
– assicurare ai cittadini la certezza di sapere chi fosse il soggetto istituzionale responsabile di gestire le risorse che sarebbero derivate dalle tasse che loro versavano: TASSAZIONE E RESPONSABILITA’ dovevano, nelle parole d’ordine di tutti, andare a braccetto;
– assicurare a Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni il superamento del sistema di finanza derivata con l’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa nel rispetto dei principi di sussidiarietà, solidarietà e di coesione sociale;
– superare il criterio della spesa storica, adottando i costi e fabbisogni standard per definire il livello di spesa delle funzioni esercitate da ciascun livello di governo.
Questi assunti sono stati COMPLETAMENTE CANCELLATI, ripudiati da scelte pesantemente centralistiche decise a partire dal Governo Monti, che hanno notevolmente ridotto la possibilità di Province e Comuni di decidere in autonomia come amministrare i propri territori.
Una azione che si è mossa con interventi sempre più pesanti ed incisivi lungo due direttive:
1. i tagli ai bilanci degli enti locali;
Dal 2010 ad oggi le Province hanno subito oltre 2 miliardi di euro di tagli ai bilanci e hanno dovuto fare fronte al patto di stabilità interno per 5,2 miliardi di euro. Bloccare gli investimenti e ridurre i bilanci all’osso non solo ha definitivamente cancellato qualunque tentativo di avviare il federalismo fiscale, ma ha prodotto danni gravissimi sull’economia locale e sull’efficienza dei servizi. La capacità delle Province di ridurre nell’ultimo quadriennio quasi del 12% la spesa corrente, unico tra le istituzioni del Paese, ha permesso di frenare la riduzione degli investimenti e di mantenere i servizi. Ma i fabbisogni standard e il federalismo fiscale non dovevano servire per assicurare a tutti, su tutto il Paese, gli stessi servizi allo stesso costo? E di quale autonomia tributaria parliamo, quando il Governo utilizza il principale tributo proprio provinciale – l’imposta RcAuto – per fare cassa, prendendo dai bilanci delle Province 274 milioni di euro?
2. riforme istituzionali, confuse, incostituzionali e contraddittorie, che rischiano di fare aumentare la spesa pubblica. In particolare quelle volte a “svuotare” le Province a favore di un neocentralismo statale e regionale.
Il dibattito sul disegno di legge “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni” impone una seria riflessione sul se e sul come si possano coniugare i principi ispiratori del federalismo fiscale – o quel che ne rimane – e la garanzia di finanziamento delle risorse finanziarie necessarie a svolgere le funzioni fondamentali delle province.
Se si ritiene utile svuotare le Province dalle funzioni fondamentali, bisogna spiegare chi subentrerà e quale sarà il ‘valore aggiunto’ del nuovo ente in termini di maggiori efficienza e maggiore spesa : il comune capoluogo oppure le unioni di comuni; e quali unioni di comuni? Non esiste ad certezza circa il soggetto che andrà a ricevere la titolarità di importanti funzioni, come ad esempio l’edilizia scolastica (oltre 5100 edifici scolastici), la tutela dell’ambiente e manutenzione del territorio, oppure l’attività amministrativa inerente gli oltre 550 centri per l’impiego. Alcune funzioni potrebbero tornare in capo allo Stato oppure potrebbero rimanere alle Province; lo stesso dicasi per le funzioni delegate dalle Regioni, le quali potrebbero decidere di far permanere tale titolarità in capo alle Province.
Esiste un corretto calcolo di quanto questa riforma potrà apportare in termini di risparmi: la relazione tecnica del provvedimento riporta riduzioni di spesa per 111 milioni di euro, la Corte dei Conti avvalora una cifra che si attesta attorno ai 163 milioni.
L’UPI, attraverso una stima correlata al trasferimento del personale alle Regioni e al trasferimento della sola funzione “edilizia scolastica” ai comuni, attesta maggiori oneri pari a circa 2 miliardi.
La vera sfida del riordino istituzionale in Italia, pertanto, non può essere quella dello svuotamento delle funzioni di area vasta.
Si deve invece cogliere l’occasione dell’istituzione delle Città metropolitane e del riordino delle Province per riallocare alle istituzioni costitutive della Repubblica che operano a questo livello di area vasta le funzioni e le risorse che oggi disperse in miriadi di enti, agenzie e società create dalla stratificazione della legislazione statale e regionale (l’esempio più evidente in questi giorni sono i consorzi d bonifica).
Questa scelta consentirebbe di verificare compiutamente i costi delle diverse istituzioni territoriali nell’esercizio delle funzioni di area vasta e di individuare con certezza i fabbisogni standard in modo da spingere tutto il sistema istituzionale verso una dimensione di efficienza e di efficacia attraverso una ottimale allocazione delle funzioni e delle risorse, fondata sui principi di autonomia e responsabilità che sono alla base dell’articolo 119 della Costituzione e del federalismo fiscale.
In allegato, il documento consegnato in Commissione
Redattore: Barbara Perluigi- Luisa Gottardi