Categoria: Istituzioni e Riforme

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Conferenza Unificata 9 settembre 2003

Ordine del giorno

Conferenza Unificata del 9 settembre 2003

Roma, Sala Verde di Palazzo Chigi

 

1) Schema di regolamento concernente disposizioni per la diffusione e uso della carta nazionale dei servizi. (INNOVAZIONE E TECNOLOGIE). Parere ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Parere favorevole ed esito favorevole

2) Schema di accordo recante modalità di monitoraggio dei finanziamenti accordati dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario nonché alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano per investimenti nel settore del trasporto pubblico locale. (INFRASTRUTTURE E TRASPORTI). Accordo ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Parere favorevole ed esito favorevole

Cfr. Accordo

3) Schema di decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali concernente la proposta di ripartizione tra le Regioni e le Province dello stanziamento di 51.645.690 euro relative all’annualità 2003 per il potenziamento dei Servizi all’impiego, di cui all’articolo 41, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289. (LAVORO E POLITICHE SOCIALI). Parere ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Parere favorevole ed esito favorevole

Per ulteriori informazioni cfr. il sito della Conferenza unificata

Conferenza unificata 23 settembre 2003

Ordine del giorno

Conferenza Unificata del 23 settembre 2003

Roma, Sala riunioni di Via della Stamperia 8

 

1) Approvazione del verbale della seduta del 24 luglio 2003.

2) Disegno di legge Costituzionale recante modificazioni degli articoli 55, 56, 57, 58, 59, 60, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 80, 81, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 104, 114, 116, 117, 126, 127, 135 e 138 della Costituzione. Parere ai sensi degli articoli 2, comma 3, e 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Le Regioni e gli Enti locali criticano il metodo utilizzato nella predisposizione del disegno di legge e chiedono che vi sia un incontro con il Presidente del Consiglio dei Ministri per riaprire un confronto nel merito.

3) Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, predisposto su proposta del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro delle attività produttive. (POLITICHE COMUNITARIE). Parere ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Parere favorevole con emendamentio proposti dalle Regioni

4) Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento concernente disposizioni per il contenimento e la prevenzione dell’inquinamento acustico avente origine dal traffico veicolare, predisposto su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri della salute e delle infrastrutture e dei trasporti, in esecuzione dell’art. 11 della legge 26 ottobre 1995, n. 447. (AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO). Parere ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Rinvio

5) Richiesta di intesa con la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-città ed autonomie locali in ordine alla designazione degli esperti per la certificazione dei costi contrattuali relativi alla seguente ipotesi di contratto:  – ipotesi di CCNL per il personale non dirigente del comparto Regioni e Autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e il I biennio economico 2002-2003. (FUNZIONE PUBBLICA). Intesa ai sensi dell’articolo 47, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Sancita l’intesa

6) Schema di decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e finanze, recante ripartizione delle risorse finanziarie per l’anno 2003 destinate al Fondo per gli asili nido, di cui all’articolo 70 della legge 28 dicembre 2001, n.448. (LAVORO E POLITICHE SOCIALI). Parere ai sensi dell’articolo 70, comma 3 della legge 28 dicembre 2001, n.448.

Parere favorevole

Cfr. per ulteriori approfondimenti il sito della Conferenza unificata

Aggiornamento lavori parlamentari al 13/12/03

MONITORAGGIO ATTIVITA’ PARLAMENTARE


AFFARI COSTITUZIONALI

Senato/commissione – Ddlc 2544 – Riforma costituzione: votazioni (11.12.2003)
Iter: S2544 e abb. – Riforma costituzione: all’11.12.2003 in esame in commissione Affari Costituzionali del Senato, sede referente, relatore D’Onofrio (UDC)

Senato/commissione – Ddl 132 e abb. – Mandato Sindaci: tempi d’esame (11.12.2003)
Iter: S132 e abb. – Mandato Sindaci: al 11.12.2003 in esame in Commissione affari costituzionali del Senato sede referente, relatore Falcier (FI)

Senato/commissione – Ddl 2414 – Sottoscrizione liste e candidature: conclusione (4.12.2003)
Iter: C2451/S2414 – Sottoscrizione candidature e liste – Reati elettorali: al 4.12.2003 concluso l’esame in Commissione affari costituzionali del Senato, sede referente, relatore Malan (FI)

Camera/commissione – Ddlc 4307 e abb. – Ambiente e Costituzione: comitato ristretto (10.12.2003)
Iter: S553 e abb/C4307 – Ambiente e Costituzione: al 10.12.2003 in corso d’esame in Commissione affari costituzionali della Camera, sede referente, relatore Schmidt (FI)


BILANCIO – PROGRAMMAZIONE ECONOMICA

Camera/assemblea – Ddl 4489 – Legge finanziaria 2004: discussione rinviata (11.12.2003)
Iter: S2512/C4489 – Legge finanziaria 2004: al 12.12. 2003  in esame in Assemblea della Camera, relatore di maggioranza Blasi (FI), relatori di minoranza Morgando (Marghu) e Russo Spena (RC)



Camera/assemblea – Ddl 4490 e abb. – Bilancio 2004-2006:relazione
Iter: S2513/C4490: Legge di bilancio 2004-2006: al 12.12.2003  in esame in Assemblea della Camera, relatore Alberto Giorgetti (AN), relatore di minoranza Mariotti (DSU)


AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Camera/commissione – Ddl 2381-B – Ratifica protocolli tutela delle Alpi: esame in ambiente (11.12.2003)
Iter: C2381-B/S1842 e abb. – Ratifica protocolli tutela delle Alpi: al 4.12.2003 in corso d’esame presso la Commissione affari esteri della Camera, sede referente, relatore Landi di Chiavenna (AN)

Senato/commissione – Ddl 2386 – Modifiche legge n. 86/89 “La Pergola”: nuove considerazioni (4.12.2003)
Iter: C3123/S2386 – Modifiche legge n. 86/89 “La Pergola”: al 4.12.2003 in corso di esame presso la Commissione affari costituzionali del Senato, relatore Basile (FI)


LAVORO – PREVIDENZA SOCIALE

Camera/commissione – D.l. n. 328/2003 – Ammortizzatori sociali e formazione: modifiche (10.12.2003)
Iter: C4515 – ddl conversione d.l. 328/03 – Ammortizzatori sociali e formazione: al 10.12.2003 in esame in Commissione lavoro della Camera, sede referente, relatore Gazzara (FI)


Senato/commissione – Ddl 2058 – “Collegato” in materia previdenziale: termine emendamenti (11.12.2003)
Iter: C2145/S2058 –“Collegato” in materia previdenziale: all’11.12.2003 in corso d’esame presso la Commissione lavoro del Senato, relatore Morra (FI)


AMBIENTE

Senato/commissione – Ddl 1753 B – Riordino legislazione ambientale: discussione emendamenti (3.12.2003)
Iter: C1798-B/S1753-B- Riordino legislazione ambientale: al 3.12.2003 in esame in Commissione ambiente del Senato, sede referente, relatore Specchia (AN)

Senato/commissione – D.l. n. 314/03 – Rifiuti radioattivi: respinte pregiudiziali (11.12.2003)
Iter: C4493/S2624 – ddl conversione d.l. 314/03 – Rifiuti radioattivi: al 9.12.2003 assegnato alla Commissione ambiente del Senato, sede referente, relatore Bergamo (UDC).

LAVORI PUBBLICI – TRASPORTI

Senato/commissione .Ddl 2582 – Finanziamento opere viarie: sì definitivo (3.12.2003)
Iter: C3606 e abb/S2582 – Finanziamento opere viarie: al 4.12.2003 concluso l’esame presso la Commissione lavori pubblici del Senato, sede deliberante, relatore Chirilli (FI), da pubblicare in GU


CULTURA

Camera/commissione – Scuola dell’infanzia e primo ciclo: esame (3.12.2003)
Iter: Schema dlg Scuola dell’infanzia e primo ciclo (Legge n. 53 del 2003): al 3.12.2003 in esame in Commissione cultura della Camera, relatore Napoli (AN)


Senato/commissione – Codice beni culturali-paesaggistici: lamentata assenza del governo (10.12.2003)
Iter: S.dlg Codice beni culturali e paesaggistici (attuazione lex n. 352/1997): al 10.12.2003 in corso d’esame presso la Commissione istruzione del Senato, relatore Asciutti (FI)

 

TELECOMUNICAZIONI

Senato/commissione – Ddl 2546 e abb. – Disabili e strumenti informatici: esame (10.12.2003)
Iter: C3978 e abb/S2546 e abb. – Disabili e strumenti informatici: al 10.12.2003 in corso d’esame presso la Commissione lavori pubblici del Senato, sede deliberante, relatore Pasinato (FI)


Ultimo aggiornamento: 13.12.2003

 

Per ulteriori informazioni contattare [email protected]

oppure consultare i seguenti siti:


www.camera.it

www.senato.it

www.westminster.it

Assemblea: intervento del Pres. Musotto

“La Provincia è il primo ambito territoriale nel quale è fondamentale la concertazione fra vari soggetti, dove quotidianamente disegnare lo sviluppo del territorio passa attraverso il dialogo fra Comuni, imprese, cittadini alla ricerca di obbiettivi comuni e azioni di intervento coordinate. Per questo oggi la Provincia è un vero laboratorio per moderne strategie di sviluppo che nascono dal basso, dalle vocazioni territoriali, invece di essere imposte dall’alto”.
Lo affermato il presidente della Provincia di Palermo, Francesco Musotto intervenendo ai lavori dell’Assemblea Generale delle Province Italiane, organizzata a Roma dall’Unione Province d’Italia. Musotto ha partecipato alla tavola rotonda “La Provincia dei cittadini per lo sviluppo del Paese”, coordinata da Bruno Vespa. Con Musotto sono intervenuti Giancarlo Elia Valori (Confindustria Lazio), Sergio Billè (Confcommercio), Paolo Nerozzi (Cgil), Carlo Sangalli (Unioncamere) e Gino Nunes, presidente della Provincia di Pisa. Al centro del dibattito lo studio dell’Ispo di Renato Mannheimer, presentato prima della tavola rotonda, sull’immagine che le Province hanno conquistato nell’opinione dei cittadini.
“La forte fiducia nell’istituzione Provincia – ha sottolineato Musotto – che emerge dall’indagine di Mannheimer, dimostra che il ruolo di coordinamento sovracomunale di questo Ente viene sempre più avvertito dalla gente. Ci conforta, tra l’altro, vedere che le priorità che ci indicano i cittadini sono le stesse che noi ci poniamo: tutela dell’ambiente, valorizzazione delle risorse idriche e energetiche, viabilità, trasporti e scuola”.
“Anche nella complessa architettura dell’Unione Europea – ha aggiunto Musotto – il ruolo di programmazione e coordinamento della Provincia acquista una grande importanza per consentire alle imprese e agli altri soggetti pubblici e privati che operano nel territorio di modulare le loro azioni in modo da potere essere inserite nei piani di sviluppo disegnati a Bruxelles. Solo in questo modo si riesce a intercettare la totalità dei fondi comunitari e ad utilizzarli per investimenti che creano un reale effetto moltiplicatore nel nostro tessuto economico”.   

Assemblea generale: intervento di Donato Robilotta

L’assemblea dell’UPI si tiene in un momento importante, mentre si sta affrontando un’altra riforma federalista dello Stato, dopo quella del titolo V.

Le Regioni e le Autonomie locali devono avere un ruolo di primo piano nell’elaborazione di questa riforma. Al contrario da parte del Governo e della maggioranza parlamentare non si tiene conto di questa necessità.

Anche se condividiamo l’obiettivo di completare il percorso di riforme costituzionali, occorre che la riforma già presentata in Parlamento sia cambiata, soprattutto per quel che riguarda il Senato federale e l’art. 119 della Costituzione. Occorre affrontare infatti seriamente la questione delle risorse e del federalismo fiscale, perché altrimenti il federalismo rischia di diventare una scatola vuota.

Il federalismo significa dare maggiore responsabilità alle Regioni, alle Province, ai Comuni e alle Comunità montane. La parola chiave del federalismo è infatti la responsabilità degli amministratori e dei diversi livelli di governo. Occorre evitare di duplicare le competenze e i centri di spesa.

Per questo è giusto dire no all’istituzione di nuove Province perché esse comportano ulteriori spese in un periodo in cui tutti devono essere attenti alla gestione delle risorse.
Oggi le Province hanno assunto un ruolo importante. Non siamo più agli anni in cui venivano considerate enti inutili. Anche nel dibattito sulle città metropolitane che si sta avviando con l’Anci credo che le  Province debbano avere un ruolo di primo piano.

Assemblea generale: intervento di Alberto Gagliardi

La sicurezza è una delle questioni più delicate, ma anche una delle più importanti. Il grande sforzo delle Province in questi anni è stato incentrato sulla sicurezza di alcuni ambiti, come le strade, le scuole, l’ambiente, i rifiuti.

Proprio il nuovo codice della strada ha aggiunto, ultimamente, ulteriori compiti in campo di sicurezza con la polizia provinciale. Intorno alle Province se fino a ieri c’è stata sempre un po’ di confusione ora, come ha evidenziato bene anche la vostra richiesta, sono tornate a riacquistare riferimento tra i cittadini.

Assemblea generale: intervento di Marcello Pera

La Provincia e le riforme

Questa Assemblea dell’Upi trova il Parlamento, soprattutto il Senato, impegnato in un processo di revisione costituzionale, che è certamente di rilievo per le Province e per tutte le autonomie locali. Lo trova anche, il Parlamento, impegnato nella discussione della legge Finanziaria. Mi soffermo sul primo punto.

Il punto di partenza è la c.d. riforma federale del titolo V Cost. (la legge Cost. 3/2001).
Alcuni difetti sono stati diffusamente riconosciuti ed esiste, a detta di tutti, una lacuna vistosa.

– La lacuna è il mancato completamento della riforma con il Senato federale, unica camera di compensazione e di chiusura del sistema delle autonomie.

– I difetti che riguardano (a) la vastità delle materie “concorrenti”, (b) la percezione che alcune di esse  starebbero meglio in capo allo Stato, e (c) l’incertezza delle divisioni per materie, che hanno chiamato la Corte a pronunciarsi e così, in qualche modo, a supplire alle carenze del Parlamento.

Ora, il Parlamento deve prendere atto di queste carenze e provvedere rapidamente. Si tratta di completare le riforme, portare a termine la transazione. Dobbiamo farlo per tante ragioni, di cui le principali sono:

– Una Costituzione incompleta è una Costituzione inefficiente;

– Una Costituzione inefficiente crea incertezze, sovrapposizioni e squilibri di e fra poteri dello Stato;

– Gli squilibri tra i poteri dello Stato vanno a danno di una democrazia efficiente;

– Un Paese con una democrazia non efficiente rispetto alle istituzioni (non rispetto alla politica, che è altra cosa) non è in grado, a differenza di altri, di prendere decisioni rapide o incisive;

– Il ritardo delle decisioni, o la loro paralisi, produce dei costi finanziari aggiuntivi.

Siamo dunque di fronte ad una “sfida per il progresso”, e questa comincia proprio dal “primo livello” di sussidiarietà, dove si collocano Comuni e Province. Qui si replicano gli stessi problemi che riguardano le regioni.

– Vi sono competenze che non possono essere ritagliate nettamente fra Comune, Province, Regione, Stato.

– Vi è l’esigenza che, anche nell’ordinamento federale, le Regioni non riproducano, rispetto agli enti locali, il centralismo dello Stato rispetto alle Regioni;

– Vi è l’esigenza che il federalismo sia sì competitivo rispetto alle politiche, ma non lo sia rispetto ai rapporti fra le istituzioni. La prima competizione è virtuosa, la seconda è perniciosa. Una Repubblica istituzionalmente a macchia di Leopardo non solo è rischiosa rispetto alla sua unitarietà, non è efficiente rispetto ai bisogni dei cittadini.

I Presidenti delle Province sono i meglio attrezzati per comprendere questi problemi, perché li vivono quotidianamente. Infatti, essendo posta al “secondo gradino” nella scala della sussidiarietà,

– Da un lato, la Provincia deve guardare a sé e verso l’alto, cioè proteggere i suoi poteri esclusivi, fare regolamenti, organizzarsi in autonomia, esercitare funzioni fondamentali definite dallo Stato;

– Dall’altro lato, la Provincia deve guardare verso il basso, assicurando il coordinamento in un ambito territoriale allargato e, quando si presenti la prima necessità, avvalendosi di poteri che si sovrappongono a quelli dei Comuni.

Passi avanti verso le riforme e una migliore definizione degli equilibri istituzionali sono stati fatti. Due sono rilevanti:

– La legge 131/2002 ha reso i nuovi articoli della Costituzione più facili da attuare e meglio comprensibili;

– La sentenza 303/2003 della Corte Costituzionale ha dato indicazioni importanti, specie laddove ha richiamato le “istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita”.

Ora tocca di nuovo al Parlamento in sede di revisione costituzionale. Il punto rilevante, naturalmente, è il Senato federale. Esiste un testo, è in discussione, è considerato aperto da coloro stessi che lo hanno presentato. Ci sarà tempo e modo di discuterlo, soprattutto quando dalla Commissione si trasferirà in Aula. Qui desidero solo accennare ad alcuni nodi che non mi sembrano ancora risolti.

– Il Senato sembra troppo debolmente federale riguardo alla elezione e composizione. L’elezione diretta su base regionale di soli senatori, per di più con il sistema proporzionale e contestualmente alle elezioni della Camera, non basta a stabilire un collegamento con gli interessi territoriali;

– Dall’altra parte, il Senato sembra troppo esageratamente federale riguardo alle sue competenze (ad esempio, più federale di quello tedesco). Le “leggi di principio” affidate alla competenza del Senato riguardano materie di rilevanza strategica per l’indirizzo politico del Governo, che, nel caso in cui al Senato fosse presente una maggioranza diversa da quella che lo sostiene (ciò che è facile prevedere che sia la regola), sarebbe esposto al rischio di vedere paralizzato il suo programma, visto che su tali leggi la decisione finale è attribuita al Senato.

– Il Governo manca di strumento di pressione sul Senato (come la posizione della questione di fiducia e la minaccia dello scioglimento anticipato)  per indurre lo stesso Senato ad approvare i provvedimenti espresisone dell’indirizzo politico governativo.

– Si parla di riportare la competenza su Bilancio e Finanziaria al Senato. Ma attribuire al Senato questa competenza significa impedire la governabilità a chi ha vinto le elezioni, negare il principio di responsabilità politica, favorire un sistema consociativo estremamente costoso. Oppure significa riportare la questione del voto di fiducia anche al
Senato, con ben poche differenze rispetto alla situazione attuale.

– E si parla anche di rivedere le previsioni dello scoglimento della Camera in capo al Primo Ministro. Neppure questo favorirebbe la responsabilità politica e quel bipolarismo che ormai è entrato nel costume politico degli Italiani. D’altro canto, sarebbe decisamente incongruo negare al Primo Ministro italiano quei poteri che hanno i suoi colleghi europei e che hanno tutti i Sindaci, i Presidenti di Provincia e di Regione. La stabilità dell’Italia non ha almeno lo stesso valore di quella del Comune di Vattelapesca o della Provincia di Vattelaccia?

Mi fermo e chiudo. Il processo di riforma è all’inizio. Io credo che le forze politiche debbano rifletterci con attenzione, confrontarsi, mostrarsi disponibili alle reciproche obiezioni. Noi abbiamo bisogno, ormai urgente bisogno, della riforma. Ma non abbiamo bisogno di una riforma, bensì di quella riforma che delinei poteri ben distinti, competenze ben chiare, e soprattutto uno Stato efficiente. Prima delle posizioni di questa o quella parte politica, viene la coerenza interna e la funzionalità complessiva del sistema. Ne va dell’Italia e della nostra democrazia.

Assemblea generale: intervento di Luciano Vandelli

La riforma del titolo V, parte II, della Costituzione ha avuto l’ambizioso obiettivo di dare un ruolo istituzionale a tutte le autonomie territoriali al di là della puntuale ripartizione delle competenze legislative e amministrative. Tale obiettivo non si può raggiungere senza una continua e sostanziale collaborazione leale tra i diversi licvelli istituzionali. Per questo occorre riprendere il cammino unitario tra le associazioni degli enti territoriali, superando lo scollamento e l’incomunicabilità. Una Repubblica fondata sull’autonomia e sul federalismo, infatti, si basa sull’interdipendenza di tutti i soggetti che la costituiscono.

Rispetto alla riforma costituzionale oggi propostta dal Governo, condividiamo l’obiettivo di superare il bicameralismo paritario. E’ però inaccettabile cambiare la denominazione del Senato in Senato federale senza rivedere la sostanza di questa Camera, che deve essere veramente rappresentativa delle autonomie territoriali. Non è cambiando le etichette che si fanno le riforme.

Assemblea generale: intervento di Sergio Billè

Sul fatto che, in Italia, sia utile, forse ormai quasi indispensabile una riforma  federalista non credo che vi siano più dubbi o fondate remore. Del resto, è  da tempo che, sia pure in modo confuso e talvolta contraddittorio, ci si sta muovendo in questa direzione.
Il punto su cui ancora si discute non è  tanto il progetto federalista in sé, quanto l’individuazione di una sua architettura istituzionale che, organizzata su più livelli,  riesca non solo a comporre i problemi e  gli interessi territoriali  con quelli nazionali, ma realizzi  anche una maggiore  efficienza al sistema che possa, nel suo complesso,  finalmente soddisfare le nuove  istanze e i nuovi bisogni della società civile e, in particolare, quelli delle sue componenti economiche ed imprenditoriali.

E, all’interno di questa architettura, le  Provincie, dovrebbero senza dubbio  avere un ruolo cardine  di ponte funzionale tra la grande  progettualità di competenza delle Regioni  e la gestione più strettamente locale svolta dai Comuni.

E’ una funzione che le Provincie già in parte svolgono, tanto è vero che esse, ad esempio, gestiscono direttamente  già  l’84% della rete stradale nazionale e hanno parte sempre più attiva  nella definizione e nella soluzione di problemi di grande valenza territoriale quali lo sviluppo economico, la tutela ambientale, la promozione turistica e molte altre cose ancora. Anche le strutture provinciali dovrebbero insomma diventare una componente essenziale di un sistema federalista che riesca  a creare sul territorio un rapporto che sia finalmente virtuoso nel senso che, a fronte dei necessari corrispettivi, il cittadino possa ottenere dalla pubblica amministrazione e ad ogni livello un buon funzionamento di tutti i servizi di base sia materiali  cioè strade, energia, acqua, sicurezza, ecc., sia immateriali  cioè salute, cultura, assistenza tecnica, formazione, ecc.

Si tratta  di definire un quadro giuridico e una linea di interventi che, seguendo gli indirizzi e la carta dei valori a cui si ispira oggi l’Unione europea, assicurino in eguale misura su tutte le parti del territorio livelli equivalenti di giustizia, di sviluppo, di salute.
E poi occorre uno Stato che svolga una funzione, un ruolo di sempre più attiva  compensazione tra gli interessi locali e quelli della comunità nazionale.

Se non si parte da  questo corollario, anche la riforma federalista corre il rischio di diventare un fattore distorsivo, fine a sé stesso,  un  elemento disaggregante e non aggregante per quella riforma del sistema-paese che tutti diciamo da tempo di volere.
Ma la domanda che mi pongo  è: esiste  già davvero una intelaiatura di base che, possedendo tutti gli attributi necessari, sia in grado oggi di  realizzare una  riforma  di sistema che raggiunga questo obiettivo?

A me pare di no e non credo di essere il solo ad avere oggi dei dubbi al riguardo.
C’è, infatti, ancora un’evidente “sfasatura” tra i progetti di conio politico e le sempre crescenti, motivate e pragmatiche istanze di  cittadini ed imprese per la realizzazione di un progetto di decentramento amministrativo e di un modello costituzionale che assicurino non solo un grado di maggiore efficienza della pubblica amministrazione, ma anche forme di più diretta e più produttiva partecipazione e di  maggiore controllo su tutta la gamma  delle sue attività.

Il pericolo è che, nel nuovo sistema federativo, si trasferiscano molte delle  incrostazioni, delle lentezze, delle disparità di comportamento e  delle palesi incongruenze manifestate, nel corso di tutti questi anni, dal vecchio sistema centralista.

E di un modello di stato federalista, che finisse con l’ereditare molti dei difetti del vecchio sistema, cittadini ed imprese non saprebbero proprio cosa farne.
Proprio perché parliamo di nuova e per noi inedita architettura costituzionale sarà bene mettere sul tappeto qualche problema.

Prima di tutto quello del telaio delle competenze che Stato, Regioni, Provincie e poi Comuni, potenziando le loro strutture, sono chiamati a svolgere.
E qui il discorso si fa davvero serio. Primo, sarebbe un guaio se il vento della politica spargesse ora anche sul territorio i semi di quel burocraticismo inefficiente, egocentrico ed improduttivo che, nel vecchio Stato, ha purtroppo messo, nel corso dei decenni, profonde radici: per avere altri frutti, occorre cambiare tipo di seminagione, se no, nel giro di pochi anni, avremo, sul territorio, lo stesso genere di radici e di piante. Insomma evitiamo di ripetere gli errori commessi dalla riforma Bassanini che, nei fatti, si è rivelata assai diversa da quelle che potevano anche essere le sue buone intenzioni.

Secondo, il quadro delle competenze va delineato in modo che non vi siano inutili e costose sovrapposizioni tra le diverse strutture. Le Provincie, proprio perché operano su aree circoscritte, possono svolgere un ruolo più diretto e più pregnante su problemi che, per il territorio, sono diventati ormai di vitale importanza quali  l’efficienza della rete stradale ma anche i sempre maggiori problemi che presenta l’eco sistema quali, ad esempio, la tutela dell’ambiente e una più moderna, sistematica e meglio programmata utilizzazione dei rifiuti oggi allocati quasi tutti in discariche a cielo aperto la cui nocività ed improduttività ha ormai raggiunto livelli insopportabili anche sotto il profilo dei costi. E poi politiche di sviluppo economico che, nel perimetro provinciale, possano  essere più propulsive e finalmente più consapevoli delle esigenze di chi oggi, volendo fare impresa, si trova spesso a cozzare contro il muro delle regole di una burocrazia miope e inefficiente. E poi ancora il turismo che, per lievitare e radicarsi sul territorio, ha bisogno di interlocutori che, nella sfera pubblica, parlino finalmente lo stesso linguaggio di chi cerca di fare impresa e di produrre, in quell’area, nuova ricchezza.

Il decentramento delle funzioni potrà essere assai più produttivo per il sistema se ogni istituto potrà trovare piena legittimazione nel ruolo che esso è chiamato a svolgere. Affastellare e sovrapporre poteri e competenze dei vari organi significherebbe creare non una nuova architettura istituzionale, ma una Torre di Babele.

E dicendo questo non credo di porre un problema solo astratto e teorico perché il corso della politica anche di questi ultimi anni non ha certo reso più trasparente e maggiormente legittimato il ruolo prettamente amministrativo che le singole Istituzioni sarebbero chiamate a svolgere e che, invece, il vorticoso gioco dei pesi e dei contrappesi di cui è fatta la politica continua spesso a fortemente condizionare.

Quindi meno clientelismo di piccolo o medio cabotaggio, diversa cultura amministrativa, più amministratori pubblici che sappiano, sotto il profilo politico, “spersonalizzarsi” e che sappiano, invece, operare in funzione di quelle che sono le concrete esigenze del mercato e le  reali aspettative di imprese e famiglie.

Ma i problemi non finiscono certo qui. Perché questa nuova architettura istituzionale prenda forma e poi diventi davvero operativa manca un altro importante, direi essenziale tassello.

Parlo ovviamente del federalismo fiscale, un problema che avrebbe dovuto essere risolto ante litteram, prima cioè di dar corpo alla riforma federalista e che, invece, giace  irrisolto, sulle nuvole di un dibattito che appare  del tutto astratto e comunque ancora lontano da ponderate soluzioni.

Non è stato risolto il problema delle risorse che sicuramente occorreranno per costruire questa intelaiatura istituzionale e si tratta di decine e decine di miliardi  di euro. Fino a quando non si troveranno queste ingenti risorse oggi necessarie solo per l’avvio del nuovo sistema, si continueranno a fare discussioni importanti sotto il profilo accademico, ma prive dei necessari supporti operativi.

Come non è ancora affatto chiaro quale sarà la diversa ripartizione delle risorse e se essa sarà sufficientemente congrua per alimentare il funzionamento della nuova macchina federalista.

Insomma l’interrogativo non è oggi solo quello di “chi fa che cosa”, ma anche quello di “chi tassa che cosa” e per quale funzione.


E’ importante costruire un nuovo modello istituzionale che maggiormente aderisca alle nuove istanze della società, ma questo modello rischia di restare in panne sulla strada dopo qualche chilometro, se non si farà in modo che esso possa riempire periodicamente di benzina il suo serbatoio.

Sinceramente non ho ancora capito se e come questa benzina verrà erogata, in quale quantità e con quali criteri.

Perché un fatto è certo: se la legge finanziaria approvata quest’anno ha già ridotto, per comprensibili ragioni di bilancio, i trasferimenti a Regioni, Provincie e Comuni di quelle risorse che erano necessarie solo per la manutenzione diciamo pure di routine delle loro  strutture e per l’assolvimento delle loro attuali competenze, dove si prenderà tutto il denaro poi occorrente per dar corpo e vitalità al nuovo sistema?

Molte strutture territoriali, operando, per loro fortuna, in aree che hanno un elevato standard di produzione di ricchezza, hanno potuto mettere qualche toppa al loro bilancio facendo leva solo su piccoli accorgimenti (ticket ed altro), ma molte altre- e tutti sappiamo bene quali- sono ormai vicine alla canna del gas.

Certo è un problema di carattere congiunturale che, prima o poi, se vi sarà, come tutti si augurano, la ripresa economica, potrà essere, in qualche modo, risolto.
Ma è il domani o, se credete, il dopodomani che ci preoccupa perché nessuno ci ha ancora detto quale sarà l’assetto fiscale dell’Italia federalista. E fino a quando non si metterà in chiaro questo problema, il federalismo continuerà ad essere solo un’ambiziosa astrazione.

Consentitemi un’ultima riflessione su un altro tema decisamente attuale, quello della privatizzazione dei servizi di pubblica utilità. La spinta alla privatizzazione è certamente di origine comunitaria, in omaggio ai principi della concorrenza e alla necessità di realizzare più elevati livelli di efficienza gestionale.

Se, in linea generale, la privatizzazione di tali servizi appare come logica evoluzione nel contesto di una sempre più libera economia di mercato, è altrettanto vero che elementi fondamentali di gestione del territorio finirebbero per non essere più governati dall’entità politico-amministrativa che vi sovrintende.

Per questo è un problema che va preso con le molle.
Se si sposassero, infatti, tesi “oltranziste” di libera concorrenza, si finirebbe con danneggiare l’aspetto sociale connesso ai servizi. Si avrebbe una maggiore efficienza gestionale che però, puntando al profitto, porterebbe non solo all’aumento dei costi di tali servizi, ma escluderebbe anche da parte degli enti locali ogni possibile condizionamento sulle scelte aziendali praticati da tali soggetti.

Ecco perché questa privatizzazione, soprattutto se realizzata nelle aree di minor reddito e di minore sviluppo economico, potrebbe rivelarsi per imprese e famiglie un altro, pericoloso boomerang.

E’ insomma un problema che va affrontato con molta ponderazione e grande  buon senso se non vogliamo cadere dalla padella nella brace  aggiungendo altri problemi a quelli già esistenti e che, sotto il profilo sociale ed economico, sono già, per un organico sviluppo di questo paese, di grande rilevanza.

Prima realizziamo un sistema territoriale più efficiente e poi affrontiamo annessi e connessi. Rovesciare la piramide, in un momento così delicato di trapasso, non gioverebbe a nessuno.

Assemblea generale: conclusioni di Lorenzo Ria

Le Autonomie locali sono il terzo grande soggetto istituzionale italiano

Province, Comuni e Comunità Montane devono recuperare e rafforzare l’unità, istituendo, già a partire dai congressi associativi dei prossimi anni, che vedranno, per UPI, ANCI e UNCEM  l’elezione dei nuovi presidenti e degli organismi di presidenza, un Assemblea Annuale Congressuale dei rappresentanti delle province dei Comuni e delle Comunità Montane.

Le tre associazioni conserverebbero la propria autonomia organizzativa e di rappresentanza, ma, nei fatti, nella nostra pratica concreta, ci porremmo di fronte a Governo e Parlamento come il terzo grande soggetto istituzionale italiano, dopo lo stato e le Regioni, cioè, le autonomie locali.

Credo che le obiettive difficoltà economiche del Paese, della finanza pubblica, soprattutto se in tempi brevissimi non ripartirà un processo di crescita economica, saranno trasferite in larghissima misura su Regioni, Province e Comuni. Abbiamo l’obiettiva necessità di porre fine a questo stato di cose. La prima e fondamentale condizione perché questo accada è riuscire a raggiungere la massima unità associativa nell’Associazione e tra le altre Associazioni.

Assemblea Upi: interventi di Bresso, Colli, Moffa, Prodi

“E’ inaccettabile che l’Anci abbia presentato una proposta, fatta dai sindaci delle grandi città, che prevede una legislazione ordinaria per la costituzione delle Città metropolitane, concepita come un allargamento del Comune capoluogo, che fagocita e annulla anche le identità e le specificità degli altri Comuni”. Lo ha detto il Vicepresidente dell’Upi, Silvano Moffa, nel suo intervento ai lavori dell’Assemblea generale. “Noi siamo – ha proseguito Moffa – per un sistema di governance metropolitano, per un  sistema di regole condivise dove i comuni non vengono annullati e dove il modello non è il risultato della somma delle competenze della Provincia e del Comune, ma è un’altra cosa, che fa superare il concetto di Province e di Comune. Questo è un modo corretto e moderno di affrontare il tema della governance metropolitana”.

Il tema della istituzione delle città metropolitane è stato al centro degli interventi anche del Presidente della Provincia di Torino, Mercedes Bresso, e del Presidente della Provincia di Bologna, Vittorio Prodi. “A noi pare – hanno detto – non praticabile a partire dalle sole città capoluogo, perché vorrebbe dire tornare indietro rispetto ad un governo di area vasta. Sul piano tecnico è incomprensibile. Il meccanismo che propongono i Comuni, che in automatico il Sindaco della città diventi il sindaco della città metropolitana, non sta in piedi. In realtà – hanno proseguito i due Presidenti – la loro proposta, per quanto noi sappiamo non può passare, perché occorrerebbe una modifica sostanziale della legge che non è prevista nella delega della La Loggia. Quello che proponiamo noi invece è molto semplice – hanno aggiunto Bresso e Prodi, a margine dell’Assemblea dell’Upi –  siccome la logica della città metropolitana, basta vedere l’elenco delle funzioni, è quello di ente di governo di area vasta, si decida allora di farla coincidere con la Provincia. Questa potrebbe essere una soluzione praticabile, che non richiede un lungo iter decisionale e che non sbrana a priori il territorio. In sostanza è un rafforzamento, nell’ambito delle aree più dense, delle funzioni del Presidente di Provincia che diventando sindaco delle città metropolitana ed avendo quindi qualche competenza in  più, sostanzialmente in materia urbanistica, non si chiama più presidente della Provincia ma Sindaco. Se per una qualche ragione – hanno concluso –  la delimitazione non soddisfa i sindaci che sono inseriti in quella provincia allora si può fare una proposta di modifica della delimitazione”.

“I Presidenti di Provincia – ha detto il Presidente della Provincia di Milano Ombretta Colli all’Assemblea dell’Upi – sono i nuovi Presidenti delle Aree metropolitane! E’ già disegnato tutto. Questa è una delle poche volte in cui l’architettura istituzionale è già pronta. Nella Costituzione si sancisce la pari dignità fra tutte le istituzioni. Le Province non sono inferiori né per ruolo né per altro rispetto a Regioni o Comuni. Ognuno ha la dignità istituzionale per la quale è stato eletto”.

Assemblea generale: intervento di Lorenzo Ria

Signori partecipanti in qualità di delegati o di ospiti all’Assemblea generale 2003 dell’Unione delle Province d’Italia,

quest’anno i nostri lavori sono accompagnati da un sentimento di apprensione  e timore per la guerra globale e senza regole scatenata dal terrorismo e dalla sensazione di sgomento per la profonda ferita che il terrorismo ha inferto alla missione di pace italiana in Iraq.

Affetto per i Caduti, paura per chi è ancora in missione di pace, pena per le famiglie, angoscia per la convinzione che ormai ci siamo fatta, dopo i fatti di Istanbul, di vivere con il terrorismo in casa.

Sino a qualche anno fa noi italiani, e le forze militari con noi, conoscevamo con chiarezza i valori per cui combattere e morire. Oggi 19 uomini hanno speso il loro coraggio in Iraq per un’idea di patria non facilmente definibile. Un’idea diversa da quella che noi stessi abbiamo avuto sino a pochi anni fa.

19 italiani sono morti per una patria intesa come adesione a una comunità sovranazionale di valori  minacciata dal terrorismo. Non è sempre facile riconoscerla e farla propria, questa comunità di popoli e di valori, e forse è soprattutto per questo che un sacrificio così grande non ci riesce in nessun modo di accettarlo.

Quale deve essere, in un passaggio tanto delicato per le complesse implicazioni d’ordine nazionale ed internazionale, il nostro ruolo di associazione e di province?

In ambito nazionale e locale dobbiamo continuare ad essere il presidio lucido e convinto della coesione istituzionale.

Dobbiamo continuare ad essere il catalizzatore dei processi di convergenza delle istituzioni e delle comunità sui valori di unità, pace, giustizia, sicurezza.

Dinanzi alle barbarie del terrorismo dobbiamo operare per rinvigorire le logiche dell’unità, nella convinzione che altri sono i momenti della differenziazione.

Come Unione delle Province d’Italia abbiamo un compito egualmente importante: costruire in noi, tra le nostre comunità, ma anche in Europa, l’idea della nuova comunità di popoli e di valori in cui credere.

Sarà più semplice, per noi, accettare 19 morti tanto assurde se nelle istituzioni europee riusciremo ad adottare, come regola generale, il sistema del voto a maggioranza. Se accetteremo di alimentare un’unica forza militare comune che porti soccorso alle povertà erranti nel mondo, ma che soprattutto custodisca i nostri confini dagli assalti di una criminalità organizzata che si arricchisce e si fa scudo di queste povertà.

Sarà più semplice per noi sostenere con orgoglio e convinzione le missioni di pace nel mondo se daremo vita ad un’unica agenzia europea per la protezione civile, che metta in comune uomini e risorse nazionali contro terremoti, alluvioni ed incendi.

La vita stroncata di 19 italiani avrà un senso permanente nella nostra storia, e non solo nel dolore delle loro famiglie, se come Europa saremo pronti a rinunciare ai seggi nazionali al Fondo Monetario Europeo e persino all’ONU, decidendo di farci rappresentare, in quelle sedi, da un unico voto, da un voto che conti.

Questo è il ruolo primario, ancor prima di quello nostro proprio di rappresentare gli interessi dei territori, che intendiamo svolgere in Europa, nell’esercizio delle nuove funzioni che la proposta di Costituzione europea ci riconosce, nell’ambito del Comitato delle regioni.

1. La Provincia dei cittadini

Signori ospiti, colleghi rappresentanti delle province d’Italia,

già il tema della nostra assemblea, che ha posto al centro del dibattito i cittadini, i loro diritti alla sicurezza ed allo sviluppo, ricorda quanto, negli ultimi anni, le province siano cresciute, contribuendo allo sviluppo del Paese, creando una rete di coordinamento istituzionale e sociale che ha corrisposto alle esigenze di sviluppo dei cittadini e delle imprese.

Abbiamo cioè costruito i sistemi locali,  raccogliendo intorno alla nostra istituzione le capacità e potenzialità di cui l’Italia dispone, trasformando le energie delle 100 province italiane in motore di sviluppo nazionale.

Aiutati da un ordinamento, che ha colto le necessità di creare unità e sviluppo a partire dai singoli territori, abbiamo avviato, già con la legge 81, cambiamenti decisivi, in sintonia con le attese delle nostre comunità.

Abbiamo contribuito copiosamente alla crescita di una nuova classe dirigente, responsabilizzata dal rapporto diretto con gli elettori, che nella nuova normativa – che ha reso centrale il ruolo della provincia sui temi dello sviluppo – ha trovato la spinta giusta per crescere e affrontare con strumenti idonei le crescenti sfide della modernità.

L’elezione diretta dei presidenti di provincia ha dato cioè, oltre al presupposto della governabilità, gli strumenti essenziali al cittadino per scegliere tra diverse proposte politiche e diversi programmi; ma ha dato anche agli eletti la responsabilità e gli strumenti per adempiere al patto elettorale.

Grazie a tali strumenti, gli enti locali hanno potuto, in questi anni, programmare ed amministrare con chiarezza di indirizzo politico e assunzione di precise responsabilità.
Anche, e soprattutto per questa via, gli italiani hanno riscoperto il valore di esser parte della Repubblica e hanno ricostruito il rapporto di fiducia con la politica e le istituzioni.

Non è una millanteria, ma è l’esatto sentimento degli italiani, rilevato da un’indagine-sondaggio effettuata dall’Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione del prof. Mannheimer , condotta su un campione di 4.443 intervistati, tra il 7 e l’8 novembre scorso.

I risultati dell’indagine  rilevano almeno tre aspetti fondamentali:

1. La “provincia” è un fattore emotivo e sentimentale di prima grandezza per i cittadini italiani e, pertanto, concorre, quasi nella stessa misura del comune e della regione, nello strutturare il loro senso di appartenenza alla Nazione e nel motivarne l’orgoglio di essere italiani.

2. Il secondo dato di rilievo è che i cittadini italiani annettono enorme importanza ai compiti e funzioni che la provincia svolge, anche se non conoscono precisamente che quei compiti e quelle funzioni sono propri delle province.

3. Il terzo aspetto fondamentale rilevato dall’indagine è che, nel novembre 2003, 64 italiani su 100 ritengono che la provincia sia un’istituzione molto utile o abbastanza utile. Se pensiamo che, nel dicembre 1998, lo ritenevano solo 56 italiani su 100 si ha l’idea di quanto abbiamo lavorato in questi anni, come Unione delle Province d’Italia e come singole province,   per farci riconoscere, per farci apprezzare, per farci amare come istituzione importante ed utile per i cittadini.

Questi risultati sono stati fortemente aiutati dal decentramento amministrativo e dalla modifica del titolo V della costituzione, che  hanno centrato il nuovo modo d’essere dell’ente provincia e ne hanno anche accelerato il processo di modernizzazione e radicamento sociale.

La chiara attribuzione alle province di funzioni fondamentali connesse alla scuola, alla formazione, alla tutela ambientale e al lavoro, ha dato corpo ad un soggetto dimostratosi essenziale per la progettazione e la costruzione delle strategie di sviluppo locale.
I governi di area vasta crescono ed aiutano il Paese a crescere, perché  lo stesso sistema economico si è evoluto, richiedendo competitività territoriale e puntando sulla dimensione locale.

E’ necessario, quindi, proseguire su questa strada, evitando ulteriori inutili frammentazioni.
Ad oggi giacciono in parlamento più di cinquanta proposte, per lo più di iniziativa di singoli parlamentari, di istituzione di almeno trenta nuove province.

Si tratta di iniziative che rischiano di indebolire un sistema consolidato, che deve invece continuare ad essere rafforzato, per poter rispondere al meglio alla sfida del federalismo.

Per queste ragioni riaffermiamo con determinazione  il nostro “no” all’istituzione di nuove province, che abbiamo affermato anche dinanzi alle commissioni parlamentari competenti, nel corso della recente audizione, sottolineando che il voto della camera dei deputati,  che istituisce  tre nuove province, destabilizza il sistema amministrativo, depotenzia il ruolo istituzionale dell’ente provincia, danneggia nel merito e nei contenuti gli interesse dei cittadini coinvolti per assecondarne, nell’immediato, l’interesse localistico, non scevro da venature elettoralistiche.

Per la gravità delle conseguenze connesse alla proliferazione di province chiediamo al governo – quel governo che risponde “no” alle esigenze primarie di funzionamento delle province che esistono, ma assicura una qualche copertura finanziaria a province inesistenti – chiediamo al governo di sciogliere ogni ambiguità, desistendo da comportamenti che, frammentando la maglia istituzionale,  rendono inefficace il ruolo istituzionale proprio dell’ente provincia e danneggiano gli interessi delle comunità.

2. Sicurezza e sviluppo locale

Che senso ha, oggi, che le province italiane discutano dei diritti dei cittadini alla sicurezza e allo sviluppo?

Lo ha sicuramente in senso classico. In questi ultimi anni, infatti, le province hanno costituito complessi e organici corpi di polizia provinciale che non solo garantiscono la vigilanza negli ambiti delle funzioni amministrative proprie dell’ente, ma rispondono più direttamente anche alla generale domanda di sicurezza.

In questi anni, pur avversate dai vincoli del patto di stabilità interno, le province hanno investito  risorse enormi nei corpi di polizia provinciale che oggi non soltanto presidiano l’ambiente, non soltanto garantiscono sicurezza sulle strade, ma svolgono azioni integrate con i corpi di polizia municipale e con gli organi di sicurezza.

Investimenti in logistica, in organizzazione, in professionalità e capacità di integrazione, però, non bastano.

Avvertiamo la necessità che l’ordinamento preveda un autentico ed efficace  coordinamento istituzionale tra i corpi di polizia locale e le forze dell’ordine. A questo fine i comitati per la sicurezza e l’ordine pubblico possono essere sin da ora la sede naturale in cui esprimere le necessarie integrazioni e collaborazioni in materia di sicurezza.

Sicurezza, però, è un concetto più ampio di quello classico, come dimostra la recente indagine effettuata dall’ISPO . I cittadini chiedono sicurezza in materia di risorse idriche ed energetiche, di difesa del suolo, di tutela e valorizzazione dell’ambiente, di protezione della flora, della fauna, dei parchi e delle riserve naturali, di prevenzione delle calamità con idonee politiche idrogeologiche.

I cittadini chiedono sicurezza sulle strade, nelle scuole e ogni volta che occorra far fronte a calamità naturali di ogni tipo.

Proprio perché connesse a funzioni e compiti di nostra competenza, queste esigenze di sicurezza investono e coinvolgono la nostra stessa missione.
Come vedete, al centro della nostra assemblea, abbiamo posto il “modello” di provincia che l’ordinamento ha disegnato e che il cittadino riconosce e richiede.

Come vedete, in questo “modello” c’è molto di nuovo, che si somma all’atro compito fondamentale che, come province, abbiamo, di predisporre e attuare il progetto di sviluppo del territorio, lavorando per accrescere la competitività del sistema economico locale.

I nuovi compiti, quindi, si integrano con i nostri terreni di lavoro fondamentali , che sono:   

    – L’ambiente e il lavoro, asse portante di ogni nostra funzione;
    – La programmazione urbanistica e delle funzioni dei territori;
    – L’investimento innovativo in agricoltura, attraverso i piani agricoli triennali provinciali;
    – La piena appropriazione delle funzioni relative alla programmazione negoziata, a partire dalla predisposizione dei contratti di programma;
    – La strutturazione del sistema turistico-culturale locale, anche attraverso la creazione dei distretti-impresa previsti dalla legge-quadro nazionale sul turismo;
    – L’ammodernamento del sistema infrastrutturale, particolarmente quello legato alle esigenze produttive e ai sistemi urbani;
    – Le azioni per l’orientamento, la formazione e il lavoro;
    – La promozione e il sostegno alle azioni di marketing territoriale.  

3. La finanziaria 2004: una scelta in controtendenza

Per il terzo anno consecutivo, dopo il varo della riforma costituzionale, la proposta di legge finanziaria 2004 testimonia l’involuzione dei rapporti tra lo stato e le autonomie locali.

La centralizzazione di scelte fondamentali per il Paese in materia di finanza locale, dimostra ancora una volta la chiusura del governo nei confronti di istituzioni che non si sono mai sottratte  al dovere di collaborare al risanamento della finanza pubblica.

Le province italiane, infatti, non solo hanno complessivamente rispettato, sin dall’anno 2000, il patto di stabilità interno, ma hanno anche dimostrato nei fatti grandi capacità di buongoverno, riuscendo a svolgere le nuove funzioni, oltre a quelle tradizionali, migliorando persino l’equilibrio dei propri bilanci.

Sulla base di un’indagine condotta dall’Upi sui bilanci di 60 province su 100, dal 2000 al 2002, a fronte di un aumento delle entrate del 39,6%, vi è stato un aumento della spesa corrente del 34,3 %  e della spesa in conto capitale del 39,4 %. I dati sul personale della Ragioneria generale dello Stato indicano che la spesa per il personale delle province è inferiore al 25 % del totale delle spese provinciali.

Questi dati confermano la tendenza alla crescita delle funzioni provinciali, ma allo stesso tempo dimostrano la nostra capacità di gestire le risorse in modo efficiente, di proiettarci all’esterno e di aumentare gli investimenti indirizzati alle sicurezze dei cittadini e dei territori.

Con la finanziaria 2004, le province perdono d’un colpo circa 500 milioni di euro.


370 milioni di euro saranno sottratti alla spesa corrente, come concorso delle province al rispetto del patto di stabilità interno.

130 milioni di euro, saranno invece i tagli effettivi, rappresentati da minori trasferimenti, dal mancato riconoscimento del tasso  d’inflazione, dal mancato rimborso degli ecoincentivi IPT e dal mancato stanziamento in favore dei Centri per l’Impiego, taglio che, oggi, nel contesto della liberalizzazione del mercato del lavoro introdotta dalla riforma Biagi, appare insostenibile.

Per questa ragione, chiediamo al parlamento di far proprie le nostre richieste di modifica del disegno di legge finanziaria, per quel che concerne:   

    – l’eliminazione della sanzione relativa alla limitazione della spesa del 10% per beni e servizi, che di fatto comporterebbe, in caso di sforamento, una specie di commissariamento, contrario ad ogni principio di autonomia;    

    – l’allentamento dei vincoli del patto di stabilità per il 2004, al fine di attenuarne gli effetti di paralisi delle nostre attività;   

    – il rimborso degli ecoincentivi, che hanno procurato ai nostri bilanci una sensibile riduzione di gettito;   

    – la effettiva garanzia di riscossione dell’addizionale sul consumo di energia elettrica, in un momento in cui la liberalizzazione del mercato energetico ha introdotto nuovi soggetti produttori, di difficile individuazione;    

    – l’eliminazione delle insostenibili misure e procedure che hanno di fatto procurato il blocco totale delle assunzioni.

Se il parlamento non introdurrà le modifiche richieste, la finanziaria 2004 rischia di compromettere l’organicità delle riforme costituzionali rispetto a scelte già compiute e vigenti, ma anche rispetto alle intese sul federalismo fiscale, sottoscritte col governo nel giugno 2002. La proroga per tutto il 2004 dei lavori dell’Alta commissione, introdotta dalla stessa legge finanziaria,  rischia, infatti, di rinviare l’attuazione della norma costituzionale sul federalismo fiscale alla prossima legislatura.

4. Una transizione istituzionale da concludere

Quest’insieme di ritardi e rinvii accresce sempre più il senso di instabilità istituzionale e radica la convinzione di essere destinati a convivere con un senso di transizione permanente.

Questo non è il momento delle attese, ma delle scelte e delle decisioni, purchè coerenti con le scelte già fatte e le decisioni già assunte.

Uno dei primi nodi da sciogliere è certamente quello relativo al rapporto tra giunta e consiglio.

In particolare, occorre ridefinire in maniera chiara e soddisfacente il ruolo e le funzioni del consiglio, affrontando un tema delicato rimasto per troppo tempo sullo sfondo, che riguarda, insieme ai comuni e alle province, anche le regioni.

Si avverte oggi in modo diffuso l’esigenza di garantire maggiore efficacia e funzionalità all’azione delle assemblee elettive, affinché possano esercitare concretamente il ruolo di indirizzo politico, di rappresentanza e partecipazione democratica, senza però mettere in discussione i principi ispiratori della legge 81. Questo ragionamento potremo svilupparlo prossimamente, allorquando occorrerà adeguare il testo unico degli enti locali alla legge attuativa della riforma del titolo V (legge La Loggia).

Accanto alla necessità di ridefinire il ruolo e le funzioni delle assemblee elettive, avvertiamo l’eguale esigenza di concludere sollecitamente l’oramai più che decennale processo di riforma istituzionale.

Il governo si era impegnato con noi, nell’intesa interistituzionale del 20 giugno 2002, a dare attuazione all’art. 119 della costituzione con l’introduzione nel sistema di finanza pubblica dei principi e delle regole del federalismo fiscale e a procedere all’integrazione della commissione bicamerale per le questioni regionali con i rappresentanti di regioni e autonomie locali.

Quegli impegni sono rimasti lettera morta.

Sta invece andando avanti l’attività di attuazione della cd. legge La Loggia che, tra le altre cose, prevede una delega al governo per l’individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane e la revisione del testo unico degli enti locali.

Nell’attuazione della delega occorre dare priorità all’individuazione delle funzioni fondamentali delle province, che dovranno definirne la nuova carta d’identità. Una carta ed un’identità che vadano bene a tutte le 100 province italiane e che valorizzino il ruolo di ente di governo di area vasta che le stesse province hanno conquistato con la riforma costituzionale ed il processo di decentramento delle funzioni amministrative.

Uno dei punti delicati di attuazione della legge-delega è  relativo alla  disciplina delle città metropolitane, anch’esse ritenute soggetti di rilevanza costituzionale.

Su questo tema occorre superare i ritardi esistenti, definendo procedure chiare per l’istituzione e il funzionamento delle città metropolitane. In ogni modo, le province intendono esercitare un ruolo determinante nel processo istitutivo dei nuovi soggetti, cui sono assegnate le funzioni territoriali di area vasta proprie delle istituzioni provinciali.

Se le città metropolitane, nell’attuale ordinamento, si presentano come istituzioni che ampliano e, quindi, superano l’attuale provincia, occorre allora garantire che la provincia coinvolta sia protagonista del processo di istituzione del nuovo ente.

Per queste ragioni auspichiamo che l’istituzione delle città metropolitane sia il risultato di un processo di concertazione istituzionale e di un’intesa tra le province e i comuni interessati, in particolare con i comuni capoluogo e, a tal fine, invitiamo l’ANCI a definire con noi una proposta unitaria.

5. La concertazione istituzionale

L’incertezza e la preoccupazione sul futuro viene amplificata dalle aspre discussioni che, sulle prospettive istituzionali, emergono tra i partiti della maggioranza e dal fatto che, nel dibattito su questi temi, gli enti locali vengono praticamente tenuti all’angolo.

Come se non bastasse, parlamento e governo continuano a comportarsi come se nulla fosse cambiato, legiferando, ad esempio, in materie di competenza legislativa regionale; ignorando intese e patti sottoscritti con le autonomie locali; predisponendo politiche fiscali e finanziarie che rinnegano la stessa riforma costituzionale che si accingono ad attuare.

L’esperienza recente testimonia, quindi, un forte stato di incomunicabilità tra parlamento e governo da un lato ed autonomie locali dall’altro.

Dinanzi a questo stato di cose, il sistema delle autonomie locali nel suo insieme non ha saputo mantenere il necessario livello di unità.

Dobbiamo quindi compattare il fronte autonomistico sugli obiettivi importanti e comuni, lavorando insieme nei confronti del governo per recuperare il valore della concertazione interistituzionale.

Questo è un fronte fondamentale del nostro impegno, che assumo formalmente, in nome dell’intera Unione, dinanzi ai rappresentanti del governo qui presenti, che ringrazio anche per la partecipazione ai lavori della nostra assemblea generale.

La concertazione, nei nostri intendimenti, è uno strumento evoluto di democrazia, che aiuta l’esercizio delle responsabilità e costruisce le soluzioni migliori.

Quel che oggi succede a Scanzano Ionico, inopinatamente localizzata sito nazionale delle scorie radioattive, dimostra che la concertazione è talvolta, più che opportuna, necessaria, perché previene tensioni gravi e conflitti sociali irreparabili.

La concertazione, però, nei nostri intendimenti è cosa diversa dall’espressione di pareri e note tecniche.

Con questo intendo dire che dobbiamo rilanciare e rafforzare il ruolo delle conferenze, che sono sempre più un vuoto  “parerificio” e sempre meno la sede dell’intesa tra lo stato e gli enti territoriali.

La stessa conferenza unificata non riesce quasi più ad affrontare nodi politici o istituzionali, neppure quelli fondamentali per l’assetto istituzionale del Paese, come è avvenuto per il disegno di legge di riforma della costituzione.

Ancora più grave è lo stato di funzionalità della conferenza stato-città, che non riunisce da diversi mesi e a cui è stato sottratto persino il confronto sulla finanziaria 2004.

Sempre in tema di attuazione degli obblighi connessi alla riforma costituzionale, è paradossale il ritardo del parlamento nell’integrazione della commissione bicamerale per le riforme costituzionali con i rappresentanti di regioni, province e comuni.

A nostro avviso, non si tratta di semplice ritardo, benché grave, ma di un quieto consenso del governo all’incapacità del parlamento di trovare su questo tema un accordo soddisfacente tra tutte le forze politiche.

Rileviamo la gravità di questi comportamenti, che minano alla radice una lungimirante  scelta del legislatore che, attraverso tale organismo, ha precostituito l’idea di un senato federale misto.

6. Il Senato federale misto

Sin dalla approvazione della riforma del titolo V abbiamo evidenziato la necessità di completare la riforma costituzionale con l’istituzione della camera delle autonomie territoriali e con la previsione dell’accesso di comuni, province e città metropolitane alla corte costituzionale.

Il disegno di legge costituzionale approvato dal governo e attualmente all’esame della commissione affari costituzionali del senato completa il percorso riformatore, anche se il suo iter approvativo ha saltato a pié pari il momento del confronto con le autonomie all’interno della conferenza unificata.

Auspichiamo che il momento della concertazione, mancato in fase di predisposizione del disegno di legge, venga recuperato nel corso dell’iter parlamentare.

Per quel che riguarda il merito e i contenuti del progetto di riforma, il direttivo dell’Unione e l’assemblea dei presidenti di provincia hanno concentrato l’attenzione su due punti:

1. Il superamento dell’attuale bicameralismo paritario impone l’istituzione di un vero senato federale, in cui i diversi livelli territoriali costitutivi della Repubblica (comuni, province, città metropolitane e regioni) siano direttamente in esso rappresentati. La soluzione proposta nel disegno di legge, invece, è quella di un senato composto da membri eletti a suffragio universale, che non garantisce una vera rappresentanza dei territori, né delle autonomie territoriali. Per questi motivi, abbiamo avanzato alla commissione affari costituzionali del senato una proposta di senato federale con composizione mista, in parte espressione diretta del corpo elettorale, in parte espressione indiretta delle autonomie territoriali.

2. A nostro parere, la vera garanzia di un diritto sta nella possibilità di difenderlo dinanzi a un giudice. Anche su questo punto, perciò, abbiamo richiesto che sia consentito ai comuni, alle province e alle città metropolitane, in quanto elementi costitutivi della Repubblica a pari titolo delle regioni e dello stato, di ricorrere alla corte costituzionale in  difesa delle proprie attribuzioni costituzionali oltre che in difesa della propria autonomia dagli atti legislativi statali e regionali che la ledano. 

7. Province europee

Se le province  sono cambiate, e se dovranno cambiare ancora di più, è naturale che cambi anche il modo d’essere dell’Unione delle Province d’Italia, che cambino le sue priorità e le sue scelte fondamentali.

Dovremo, quindi, continuare ad essere associazione e sindacato istituzionale, ma dobbiamo anche diventare sempre più struttura di supporto delle Unioni regionali e delle province, per rafforzarne il ruolo nei territori e per irrobustirne l’operatività in sede europea.

Strumento importante per cooperare, comunicare e fare sistema è il nostro portale interattivo, di recente attivato e presentato, che non solo favorisce il coordinamento tecnico e politico tra Unione nazionale, Unioni regionali e singole province, ma consente un’esperienza permanente di scambio di informazioni sulle innovazioni istituzionali e sulla diffusione delle buone pratiche avviate dalle singole province.

Il rapido mutamento istituzionale in atto, che è tanto veloce in ambito nazionale quanto in ambito europeo, consente ai soggetti di governo locale di svolgere un ruolo importante in Europa, attraverso un’incisiva utilizzazione degli strumenti e delle opportunità che l’Unione europea consente.

Per accompagnare le province in questo impegnativo percorso, che le aiuti nel progressivo adeguamento strutturale, organizzativo e professionale, abbiamo stipulato con TECLA (associazione per la cooperazione transregionale locale  ed europea) apposita convenzione.

Si tratta ora di concretizzare in via generale gli occorrenti processi di cambiamento, con l’istituzione, in ogni provincia, dell’Ufficio Europa. Si tratta anche di sviluppare al massimo le potenzialità insite nel protocollo d’intesa che abbiamo siglato con TECLA e con FORMEZ, che ha avviato il “Programma Ufficio Europa delle Province Formez UPI”, investendo sempre di più in progetti di eccellenza, tralasciando quelli di mero impatto formale.

In questo contesto sempre più proiettato in Europa stiamo valutando se, dopo aver fornito alle province strumenti di supporto allo sviluppo della partecipazione ai programmi e alle iniziative comunitarie, si possa utilizzare la struttura di TECLA, già operante a Bruxelles, per farne il punto di riferimento delle province italiane nei confronti delle istituzioni comunitarie. Sarebbe un bel passo avanti per rafforzare la nostra presenza in Europa e per costruire il progetto di sviluppo delle nostre comunità tenendo conto di quel avviene in ambito comunitario.

Signori ospiti e colleghi che rappresentate le 100 province d’Italia,

si conclude in questi giorni il quarto anno del nostro mandato e si apre il nostro ultimo anno di attività. Già dal giugno 2004 molti di noi saranno impegnati in altre attività o con diversi oneri di rappresentanza.

Se non avesse prevalso l’urgenza dei delicatissimi temi sui quali ancora ci confrontiamo con il parlamento, con il governo e le regioni, sarebbe stato giusto dedicare i nostri lavori ad un analitico consuntivo dell’attività svolta e dei risultati conseguiti in questi anni.

Il valore di quel che abbiamo realizzato è misurabile dalla qualità e novità degli obiettivi che il tema dell’assemblea generale ha delineato nel nostro orizzonte. Dobbiamo fare attenzione affinché la grandezza di questi obiettivi non sminuisca il valore dei risultati importanti che già abbiamo conseguito.

Tra questi, c’è un risultato di cui siamo particolarmente orgogliosi.

Abbiamo vissuto in questi anni col governo dell’Ulivo e col governo della Casa delle Libertà.

Abbiamo affrontato i temi delicatissimi di una crisi della finanza pubblica pagata soprattutto dagli enti locali.

Abbiamo trattato questioni che hanno diviso le forze politiche nazionali anche all’interno delle coalizioni.

Ma noi siamo rimasti uniti ed abbiamo espresso permanentemente posizioni unitarie, al di fuori di ogni logica di appartenenza e al di là di ogni schematismo culturale e geografico.
Al di là dei risultati raggiunti, che pure consideriamo eccezionali, è l’unità associativa il risultato fondamentale che abbiamo saputo garantire e preservare.

Quest’unità, signori rappresentanti delle province d’Italia, resterà valore determinante nei prossimi anni e contribuirà, anche nei tornanti difficili della storia della Repubblica, a cementare l’unità del Paese.

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