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NOTA SULL’IPOTESI DI RIFORMA COSTITUZIONALE PROPOSTA DAL GOVERNO

NOTA
 
SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE CONCERNENTE“MODIFICAZIONE DEGLI ARTICOLI 55, 56, 57, 58, 59, 60, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 80, 81, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 104, 114, 116, 117, 126, 127, 135, 138 DELLA COSTITUZIONE”.
 


Roma, 9 ottobre 2003
 

Lo schema di disegno di legge costituzionale approvato, in via preliminare, dal Consiglio dei Ministri il 16 settembre scorso intende superare i precedenti progetti di revisione costituzionale, ossia il disegno di legge cd. devolution – licenziato in prima lettura dalla Camera e dal Senato – e il disegno di legge  cd. La Loggia, approvato dal Consiglio dei Ministri,mai presentato in Parlamento.
Tale provvedimento di riforma costituzionale innova e modifica  non solo talune disposizioni del Titolo V, ma tutta la Parte Seconda della Costituzione riguardante l’Ordinamento della Repubblica.

Relativamente al percorso di elaborazione ed approvazione di una riforma costituzionale di tale ampiezza e rilevanza, occorre premettere talune considerazioni di metodo.
 

· L’ANCI, l’UPI e l’UNCEM hanno da tempo evidenziato l’esigenza di completare e, se necessario, correggere  l’assetto istituzionale, come delineato dalla legge costituzionale n.3/2001. L’invito di continuare insieme un percorso di  riforma costituzionale che conduca ad una valorizzazione dell’autonomia e della responsabilità dei livelli di governo territoriale è rimasto fin qui inascoltato.
Ribadiamo pertanto che ogni  proposta di riforma costituzionale che incida sostanzialmente sulla forma di stato e sui rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane e i Comuni necessita di una sostanziale  concertazione e condivisione fra tutti i livelli territoriali, che sono a pari titolo elementi costitutivi della Repubblica.
 
· Inoltre, se con tale disegno di legge s’intende perseguire il completamento della riforma del titolo V, ossia la realizzazione di un assetto ordinamentale compiutamente federalista ed autonomista,  occorre fin da subito dare attuazione alle disposizioni della legge costituzionale n. 3 del 2001 che a tutt’oggi sono rimaste lettera morta, ossia la modifica dei regolamenti parlamentari per l’integrazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali con i rappresentanti di Regioni e Autonomie locali e l’introduzione nel sistema di finanza pubblica dei principi e delle regole del federalismo finanziario e fiscale sanciti nell’art.119 della Costituzione.
 
In considerazione di ciò e della complessità della  materia di cui si controverte, si pone all’attenzione l’opportunità di scomporre tale provvedimento in diversi disegni di legge costituzionali che trattino in modo organico i diversi istituti (sistema parlamentare, forma di governo, forma di Stato, garanzie costituzionali) al fine di consentire un più agevole percorso parlamentare.
 
Nel merito dello schema di disegno di legge costituzionale, si evidenziano le seguenti considerazioni generali.
 
· Lo schema di disegno di legge ha il merito di porre con chiarezza l’obiettivo di superare l’attuale sistema parlamentare con l’istituzione del Senato federale. Pertanto, si esprime apprezzamento per la scelta di fondo tesa al superamento dell’attuale bicameralismo paritario e perfetto. Ciò, infatti, rappresenta un passo imprescindibile nel cammino verso un assetto che si vuole federale ed autonomista.
Si dissente fermamente dal modello di Senato federale delineato, che offre un immagine sbiadita ed imperfetta di un organo, che aspirerebbe a rappresentare gli interessi dei territori, le istanze delle comunità e dei loro governi.
Al  riguardo, si rileva come  un vero Senato federale, inteso come sede di rappresentanza degli interessi territoriali, presuppone invece che i diversi livelli territoriali costitutivi della Repubblica siano immediatamente in esso rappresentati.   
Si potrebbe immaginare pertanto un sistema ibrido in cui parte dei membri sia pariteticamente rappresentativa dei territori ed un’altra parte sia elettiva a salvaguardia di una vocazione di rappresentanza generale (e non corporativa) della seconda Camera.
Nel progetto presentato si rileva invece la  debolezza, se non l’inconsistenza, dei fattori che dovrebbero connotare il Senato in senso federale (requisito per l’elettorato passivo) e la presenza di indicatori che confermano i sospetti su una convinzione ‘federale’ del Governo nel delineare i caratteri del Senato.

· Vanno enunciate gravi perplessità in ordine alla generale funzionalità del sistema parlamentare. La problematica ripartizione della competenza legislativa fra le due Camere rischia di portare all’instaurazione di un regime bicamerale non solo asimmetrico (il che sarebbe in linea di massima accettabile), ma anche zoppo e fortemente duale. In tale sistema, infatti, è possibile che ciascuna Camera produca un indirizzo politico legislativo divergente, con il rischio di un cortocircuito normativo in quelle materie o settori la cui competenza a legiferare è frazionata fra concorrenza ed esclusività.
L’incoerenza sistemica è accentuata dai seguenti problemi: a) alcune materie (in tutti i casi in cui la Costituzione prevede il rinvio a leggi e quindi di non facile determinazione) restano di competenza della legge bicamerale; b) il Senato comunque ha competenza legislativa ‘primaria’ rispetto alla Camera nelle materie di legislazione ‘concorrente’; c) il progetto intende dar vita a un premierato forte, in grado di determinare anche lo scioglimento della Camera in caso di voto contrario a una proposta del Governo.
Ci si deve chiedere come possa funzionare un sistema così potenzialmente conflittuale e privo di adeguati elementi istituzionali di interconnessione. Così come ci si deve chiedere come possa conciliarsi il rafforzamento del premierato con la mancanza di ogni strumento governativo di indirizzo rispetto al Senato federale. Il rapporto fiduciario permane esclusivamente tra Primo ministro e Camera dei deputati, cementato dall’elezione della Camera attraverso l’indicazione nelle schede del candidato Primo ministro. Invece, a stretto rigore, rispetto al Senato non si può neppure parlare di maggioranza o minoranza e non vi alcun potere di indirizzo da parte del Governo.
 
· La previsione di un Senato federale non risolve  il problema di un adeguato e proficuo sistema di raccordi istituzionali tra lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane ed i Comuni.
Numerose problematiche interistituzionali hanno natura politico-amministrativa e possono trovare soluzione solo in una sede di concertazione come la Conferenza unificata, quale luogo principale di raccordo tra i diversi livelli di governo. Pertanto, si ritiene opportuno promuovere una riflessione seria sull’istituto che porti ad un suo diretto riconoscimento costituzionale.
 
· La previsione di una composizione modificata della Corte costituzionale che passa da 15 a 19 giudici (di cui 3 nominati dalla Camera e 6 dal Senato federale) risolve parzialmente il problema di un maggiore raccordo di quest’organo di garanzia con le nuove funzioni delle Regioni e delle Autonomie locali. Congiuntamente alla diversa composizione, infatti, occorre prevedere l’ accesso diretto alla Corte costituzionale per i Comuni, le Città metropolitane e le Province  a tutela delle loro attribuzioni costituzionali. In mancanza di tale previsione risulterebbe, infatti, alquanto compromessa la pari dignità costituzionale di Comuni, Province, Regioni e Stato, come prevista dall’art.114 della Costituzione.

Sulla base di tali preliminari considerazioni di carattere generale non si può sottacere che lo schema di disegno di legge costituzionale rappresenta  un passo indietro nel cammino verso un sistema istituzionale federale, ad eccezione dell’opzione di fondo evidenziata, consistente nella trasformazione del bicameralismo paritario.
Si auspica l’apertura di un confronto paritario, proficuo e leale che miri ad una riscrittura  del testo almeno nella parte, per gli enti territoriali essenziale, concernente la morfologia strutturale e funzionale del Senato federale.
 
 
PRINCIPALI  ISTITUTI OGGETTO DI REVISIONE


1. Senato federale della Repubblica

Il Senato della Repubblica è  rinominato Senato federale della Repubblica con una riduzione del numero dei senatori da 315 a 200. E’ prevista l’elezione del Senato con sistema proporzionale e su base regionale ed è enunciato espressamente che il sistema elettorale deve garantire la rappresentanza dei territori. In tal senso, è previsto quale requisito per l’accesso all’elettorato passivo il ricoprire o l’aver ricoperto una carica pubblica elettiva locale o regionale nella regione in cui ci si candida o l’essere stato eletto senatore o deputato sempre nella regione.
Per la validità delle deliberazioni del Senato federale è introdotto un quorum minimo consistente nella presenza di senatori eletti almeno in un terzo delle regioni.
Valutazione positiva in ordine alla ‘salutare’ riduzione del numero dei senatori.
Il ‘pregevole’ richiamo alla rappresentanza territoriale non è però tradotto in una morfologia strutturale e funzionale del Senato appropriata ed accettabile. Il  regime elettorale adottato fissa un legame debole, imperfetto e sbiadito con le istituzioni territoriali, che in alcun modo risponde all’idea di rappresentanza degli interessi delle comunità e dei loro governi  che l’ANCI, l’UPI e l’UNCEM portano avanti.
La condizione  per accedere all’elettorato passivo fa presumere e sottintende una spinta alla regionalizzazione dei senatori nella geografia parlamentare, uno stimolo all’aggregazione per comune derivazione regionale, che potrebbe trascendere il naturale legame politico-partitico.
Ciò trova ulteriore conferma nell’introduzione nell’ordinamento parlamentare di un inedito ‘numero legale’ per la validità delle deliberazioni, ossia la presenza all’atto dell’espressione del voto di senatori eletti almeno in un terzo delle regioni.
 Come si farà a rilevare il numero legale, se non vi è una suddivisione per derivazione regionale, forse anche fisica e comunque verificabile , dei senatori nell’Aula?
Inoltre, inevitabilmente  i rappresentanti delle regioni con pochi seggi peseranno più degli altri e, per contro, quelli delle regioni popolose meno; ci si chiede poi: basta anche un solo senatore di una regione per integrare la regione dentro il c.d. “terzo” delle regioni, o è necessaria la presenza della maggioranza dei senatori di una regione perché si possa dire che quella regione integra il “quorum del terzo”?.



2.Procedimento di formazione delle leggi.

Si tratta di una delle norme chiave del nuovo disegno costituzionale, ma anche la più debole e controversa.
La vecchia formula “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”, che nella sua sinteticità esprimeva per intero il nostro bicameralismo perfetto e paritario, viene sostituita da un lungo e complesso articolato, che segna il passaggio ad un bicameralismo differenziato ed asimmetrico.
Il primo comma stabilisce che la Camera dei Deputati esamina tutti i provvedimenti riguardanti le materie elencate nell’art.117, secondo comma, riservate alla potestà legislativa esclusiva statale, con le eccezioni contemplate nel terzo comma della disposizione, oltre ai disegni di legge attinenti ai bilanci e al rendiconto consuntivo dello Stato. 
Il provvedimento licenziato dalla Camera è trasmesso al Senato federale, che può esaminarlo, se entro dieci giorni dalla trasmissione, ne fanno richiesta la maggioranza dei componenti. Si prevede un termine di trenta giorni entro il quale il Senato delibera; se il testo è modificato, viene ritrasmesso alla Camera che decide in via definitiva.
Il secondo comma prevede che il Senato federale della Repubblica esamina i disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali nelle materie concorrenti, anche qui salve le eccezioni contemplate nel terzo comma.
Dopo l’approvazione del disegno di legge, ricorre la medesima procedura prevista nel primo comma.
Il terzo comma prevede la eccezione all’ordinaria procedura prevalentemente monocamerale, individuando le materie  in cui è necessaria la doppia, ma non più conforme, deliberazione da parte delle due Camere: perequazione delle risorse finanziarie, individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, il sistema elettorale di Camera e Senato ed ogni altra caso in cui la Costituzione rinvii espressamente alla legge dello Stato.
Si disciplina l’ipotesi di deliberazioni di testi non conformi da parte dei due organi, prevedendo un’unica lettura, conclusa la quale, se sussistono difformità, si attiva una procedura su iniziativa dei Presidenti delle due Camere che hanno facoltà di convocare una commissione mista paritetica incaricata di proporre un testo limitatamente alle disposizioni su cui vi è disaccordo. Il testo predisposto è sottoposto all’approvazione delle due Camere e su di esso  non sono ammessi emendamenti.
Il quarto comma rimette ai Presidenti delle due Camere la decisione insindacabile sulle questioni di competenza circa l’esercizio della funzione legislativa.
Fuor di dubbio,  tale norma presenta gravi profili di criticità: sia di ordine generale, relativi al modello di sistema parlamentare a cui si sono ispirati gli estensori del testo; sia di ordine sostanziale, se si guarda al possibile funzionamento del ‘mono-bicameralismo’ prospettato.
Se è politicamente legittimo optare, nella varietà di sistemi che l’esperienze parlamentari degli altri Paesi offre, quello che si ritiene più affine o migliore per il nostro assetto istituzionale, non è politicamente sostenibile costruire un sistema parlamentare che presenta incongruenze ed aporie così ingombranti.
Si indicano le più evidenti: come si fa a ripartire la competenza legislativa fra Camera e Senato in modo così netto, a seconda che si tratti di materia esclusiva o concorrente, pur con le marginali eccezioni indicate, se molte materie concorrenti richiamano materie esclusive (e viceversa)?  Perché l’individuazione dei principi della legislazione concorrente deve essere rimessa al solo Senato federale? Quale sarà e chi darà  l’indirizzo politico-legislativo, se questo è frazionato fra due soggetti che potranno avere maggioranze politiche diverse,  di cui una soltanto è legata da un rapporto di fiducia con il Governo?
Poi, la procedura immaginata nel terzo comma, nel caso di una lettura non conforme del testo da parte delle due Camere, appare non chiara: si prevede una facoltà (quindi possono non farlo?) dei Presidenti delle due Camere di convocare una commissione mista paritetica che dovrebbe predisporre un testo limitatamente alle disposizioni in cui non vi è lettura conforme. Nulla si dice su cosa succede se la commissione non raggiunge l’accordo ? Poniamo che il testo venga licenziato, si dice che è sottoposto all’approvazione delle due Camere, che possono prendere o lasciare, che succede, non si dice, se una approva e l’altra no? Sembrerebbe che  i membri del comitato possano influenzare il voto di 600 persone. E se  la procedura descritta  non arriva a buon fine, quanto potrà durare la paralisi o cortocircuito istituzionale?
Ancora, sull’intesa fra i Presidenti per risolvere le questioni di competenza: e se non si raggiunge l’intesa, consapevoli della tendenza naturale dei Presidenti di difendere le prerogative della propria Assemblea?
Infine, va evidenziata l’eccentricità e l’incoerenza dell’elenco delle competenze legislative a bicameralismo paritario, sia in ordine all’indeterminatezza del riferimento a quelle che la Costituzione individua come leggi (si tratta di ogni caso di riserva di legge o invece dei soli casi in cui si richiama esplicitamente la legge come fonte di disciplina di una certo di settore?) sia con riguardo al fatto che sono bicamerali le leggi sulle funzioni fondamentali, ma non le altre che possono interessare gli enti territoriali, il che è un grave limite all’idea di Senato federale.
Altra notazione: nulla è detto sul procedimento di revisione della Costituzione e non c’è nessuna differenziazione di ruolo dal Senato rispetto alla Camera nei casi in cui si vogliano rivedere norme costituzionali relative alle regioni e agli enti territoriali (il che nuovamente compromette il carattere c.d. federale del Senato).



3.Iniziativa legislativa.

Viene aggiunta la precisazione secondo cui ciascun membro delle Camere ha iniziativa legislativa solo nell’ambito delle competenze dell’organo a cui si appartiene.
Viene così differenziato il diritto di iniziativa dei membri delle due Camere, ma non quello del Governo né quello delle Regioni, che rimane inspiegabilmente intatto, anzi rafforzato. I poteri tradizionali delle Regioni, in materia d’iniziativa legislativa, richiesta di referendum ed elezione del Presidente della Repubblica rivivono a testimonianza dell’ambiguità o incompiutezza del modello di Senato federale.

 

4.Presidente della Repubblica.

Si riformula l’art.87 vigente e si dice che il Presidente della Repubblica è organo di garanzia costituzionale, rappresenta l’unità federale della Nazione ed  esercita le funzioni che gli sono conferite dalla Costituzione.
Rispetto all’elencazione vigente, il Presidente non autorizza più la presentazione alle Camere dei disegni di legge d’iniziativa governativa; nomina i Presidenti delle autorità amministrative indipendenti e designa il vicepresidente del CSM tra i suoi componenti.
Si accoglie con favore il riconoscimento della funzione presidenziale di tutela della garanzia costituzionale; si evidenzia l’ingresso del concetto di “unità federale della Nazione”, che sancisce la trasformazione della nostra forma di Stato.  La novazione della norma costituzionale va nel senso di un ‘ridimensionamento’ accentuato di ruolo, poteri, funzioni del Presidente, che incide direttamente sulla nostra forma di Governo. Si delinea all’orizzonte una figura di Presidente che ‘regna ma non governa’, considerata peraltro la successiva sottrazione del potere di scioglimento della Camera dei Deputati.


5.Scioglimento delle Camere.

Cambia in modo sostanziale la disciplina dello scioglimento della Camera dei Deputati. Il Presidente della Repubblica, su richiesta del primo ministro, che ne assume l’esclusiva responsabilità, decreta lo scioglimento della Camera ed indice le elezioni nei successivi sessanta giorni. Analogamente, in caso di morte, impedimento, dimissioni per motivi diversi dal voto contrario della Camera, qualora non possa nominare un nuovo  primo ministro, in base ai risultati elettorali della Camera.
Il secondo comma prevede che la richiesta di scioglimento non può essere presentata, se la Camera sia stata sciolta su richiesta nei dodici mesi precedenti.
Si stabilisce che in caso di prolungata impossibilità di funzionamento del Senato federale, il Presidente della Repubblica può decretarne lo scioglimento.
Si conferma il rafforzamento della figura del primo ministro che ha diritto di vita e di morte sull’organo che esprime la fiducia.
Il Presidente della Repubblica assume il ruolo di notaio della volontà del premier, senza poter esercitare alcun sindacato politico.
Compare nel lessico costituzionale il termine primo ministro che sostituisce quello di Presidente del Consiglio dei Ministri.



6. Governo e Primo Ministro.

Si prevede che la candidatura di primo ministro avviene mediante collegamento con i candidati all’elezione della Camera dei deputati, con l’indicazione del nome sulla scheda ed, inoltre, che la legge elettorale incentiva la formazione di una maggioranza.
Si abroga il potere del Presidente della Repubblica di nominare i ministri, su proposta del Presidente del Consiglio.
Da rimarcare la costituzionalizzazione di alcune regole di grande valenza ed effetto a cui il sistema elettorale della Camera deve attenersi.
Da evidenziare l’abrogazione del potere di nomina, in molti casi non solo formale, dei Ministri da parte del Presidente della Repubblica.



7.Governo in Parlamento.

Siamo in presenza di una integrale riformulazione della disposizione. Si prevede: l’illustrazione del programma di governo alle Camere entro dieci giorni dalla nomina;la presentazione di un rapporto annuale sulla sua attuazione e sullo stato del Paese. Si riformula la disciplina del voto di fiducia, prevedendo che il primo ministro possa chiedere alla Camera dei Deputati di esprimersi, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo. In caso di voto contrario, rassegna le dimissioni, il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento ed indice le elezioni.
Si disciplina la mozione di sfiducia che deve essere presentata da almeno un quinto dei componenti della Camera dei deputati, votata per appello nominale e approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti; il voto favorevole alla mozione di sfiducia determina lo scioglimento della Camera.
Sembrerebbe che l’illustrazione del programma di governo debba avvenire anche nel Senato federale, oltre che nella Camera dei deputati, sebbene il Senato non sia legato da rapporto di fiducia con l’esecutivo.
La fiducia diviene il decisivo e principale instrumentum regni in mano al primo ministro per controllare la sua maggioranza, in quanto il voto di sfiducia determina sempre, in via automatica, la fine della legislatura.
La norma in commento riassume in sè la “schizofrenia” del sistema che prevede un premierato così forte rispetto alla Camera e così debole rispetto al Senato.
L’assenza di ogni potere di indirizzo del Primo Ministro rispetto al Senato fa si che questa Camera sia il ruolo di legislatore che di “Governo di sé stessa”, almeno rispetto all’enucleazione dell’indirizzo politico generale, con la conseguenza di dar vita non solo a un bicameralismo asimmetrico ma anche a una “forma di governo asimmetrica”, nella quale da una parte l’organo di indirizzo politico è il Governo (rispetto alla Camera dei deputati) e dall’altra l’organo di indirizzo politico è il Senato (rispetto a sé stesso).



8.Capitale della Repubblica federale.

Si precisa che Roma è la capitale della Repubblica federale e dispone di forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale e nei limiti e con le modalità stabilite dallo Statuto della Regione Lazio.
Si amplia la disciplina costituzionale su Roma capitale, riconoscendo uno status speciale la cui concreta disciplina è rimessa allo Statuto regionale. L’ipotesi di affidare alla fonte statutaria il compito di definire i poteri della Capitale – pur apprezzabile per il riferimento al riconoscimento della potestà legislativa – non è condivisibile. Proprio in un ordinamento di tipo federale è importante che l’assetto della “Capitale della Repubblica” sia deciso dalla legge dello Stato,  con il coinvolgimento della Regione, ed in modo da salvaguardare comunque l’autonomia delle Istituzioni locali.


9.Competenze legislative esclusive delle Regioni.

Si attribuisce alla potestà legislativa regionale la competenza esclusiva nelle materie: assistenza ed organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche; definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione; polizia locale; ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
L’articolato cd.devolution, già approvato in prima lettura da Camera e Senato, viene assorbito nello schema pur con alcune importante correzioni, che fanno acquistare alla norma maggiore coerenza giuridica.
Viene meno il meccanismo della cd.autoattivazione da parte della Regione, e si inserisce più armonicamente l’attribuzione della competenza legislativa esclusiva alle regioni nel testo vigente dell’art.117.
Si chiarisce l’ambigua e ambivalente previsione del vigente quarto comma dell’art.117 in ordine alla potestà legislativa residuale e/o esclusiva delle regioni nelle materie non enumerate.
Ciò detto, permangono per intero le gravi perplessità, già da tempo, manifestate sul provvedimento che  estromette lo Stato quale soggetto che garantisce una disciplina ed una tutela uniforme per tutti i cittadini in tre settori vitali, quali sanità, istruzione e sicurezza. La devolution rischia di intaccare il fine fondamentale della tendenziale uniformità qualitativa e quantitativa su tutto il territorio nazionale nell’erogazione delle prestazioni di base del welfare, con conseguenze difficilmente accettabili sul grado di coesione sociale e con gravi lesioni di alcuni principi fondamentali sanciti nella Carta costituzionale.
Preoccupa il possibile profilarsi di interpretazioni parziali, suffragate dalla riformulazione della norma che definisce la competenza legislativa esclusiva (o residuale) delle regioni in tutte le materie non espressamente assegnate dal 117. Preoccupa la possibile deduzione per sottrazione da parte del legislatore regionale di una competenza in materia di ordinamento degli enti locali. Ribadiamo su tale punto che  al di fuori degli ambiti materiali riservati al legislatore statale in via esclusiva (art.117, secondo comma, l.p), vi è solo l’autonoma potestà normativa dell’ente locale che si esplica nella forma statutaria e regolamentare.



10.Interesse nazionale.

Si reintroduce l’impugnazione della legge regionale da parte del Governo per violazione dell’interesse nazionale della Repubblica. Si rimette al Senato federale il compito di valutare le disposizioni censurate. Il Senato decide con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti sul rinvio della legge alla Regione, indicando nel caso le disposizioni pregiudizievoli. Qualora entro trenta giorni dalla data del rinvio, il Consiglio regionale non rimuova la causa del pregiudizio, il Senato, sempre a maggioranza assoluta, entro gli ulteriori trenta giorni, può proporre al Presidente della Repubblica l’annullamento della legge o di sue disposizioni.
Appare quantomeno discutibile la reintroduzione di una formula vaga quale “l’interesse nazionale” che è stata fonte e può essere fonte di forti conflitti istituzionali.


11.Corte costituzionale.

I giudici costituzionali passano da 15 a 19: in luogo degli attuali 5 eletti dalle Camere, 3 sono eletti dalla Camera dei deputati e 6 dal Senato federale, gli altri 10 sono ancora designati rispettivamente dal Presidente della Repubblica e dalle supreme magistrature ordinarie ed amministrative.
Il giudice costituzionale che è cessato dalla carica non può, nei cinque anni successivi, ricoprire incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina governativa o svolgere funzioni in organi o enti pubblici individuati dalla legge.
Appare condivisibile la previsione di una componente espressione delle autonomie territoriali nell’organo di giurisdizione costituzionale.
Si formula, comunque, un giudizio parzialmente positivo ribadendo, ai fini del completamento di un ordinamento istituzionale autenticamente federale, la necessità di riconoscere anche ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane la possibilità di tutelare nel processo costituzionale le prerogative costituzionalmente attribuite.

DOSSIER SULLE RIFORME COSTITUZIONALI

Presentazione

A due anni dall’ entrata in vigore della riforma del titolo V, parte II, della Costituzione, con questo dossier, l’Unione delle Province italiane vuole raccogliere i contributi elaborati sul percorso di attuazione di quest’importante riforma costituzionale e sulle diverse ipotesi di ulteriore riforma costituzionale.

In questi due anni abbiamo sempre mantenuto una posizione coerente con la valutazione complessivamente favorevole che l’UPI, insieme alle altre associazioni rappresentative delle regioni e delle autonomie locali, ha fin dall’inizio dato all’impianto autonomista e federale della riforma del titolo V. Allo stesso tempo, abbiamo sempre ribadito la necessità di completare il percorso di riforma costituzionale attraverso l’istituzione di un Senato veramente rappresentativo delle autonomie territoriali e la garanzia dell’accesso alla Corte costituzionale per i Comuni, le Province e le Città metropolitane.

Sappiamo bene che la riuscita del complesso processo di attuazione e di completamento della riforma costituzionale dipende in grande parte dalla capacità del sistema delle autonomie territoriali di individuare percorsi e proposte unitarie, al di là delle divisioni politiche. Siamo consapevoli, infatti, che oggi i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni, al pari dello Stato, sono elementi costitutivi di una Repubblica una e indivisibile e che è ormai matura l’esigenza di una Costituzione europea in cui si consolidino definitivamente i principi del federalismo, dell’autonomia, della sussidiarietà.

Con questo contributo vogliamo offrire uno strumento concreto per l’approfondimento delle questioni istituzionali nelle province e per l’avvio di un confronto aperto ed unitario con tutti i nostri interlocutori istituzionali.

                                                                 Piero Antonelli  
 
 

LA RIFORMA COSTITUZIONALE TRA ATTUAZIONE E REVISIONE


Indice


PARTE PRIMA – L’attuazione della riforma costituzionale del 2001

1. Documento unitario per l’Indagine conoscitiva sugli effetti nell’ordinamento delle revisioni del titolo V della parte II della Costituzione  – I Commissione permanente – Senato della Repubblica – 16 gennaio 2002

2. Intesa interistituzionale tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali del 20 giugno 2002

3. Intesa tra i Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome ed i Presidenti delle associazioni delle istituzioni locali – Cagliari, 20 marzo 2003

4. Ordine del giorno degli stati generali delle associazioni – EuroPA –  Rimini, 2 aprile 2003  

5. Documento sull’accordo ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. a) della legge 27 dicembre 2002, n.289 sui meccanismi del federalismo fiscale –  Roma, 18 giugno 2003

6. Circolare UPI 3 luglio 2003 n. 41,  sull’approvazione della legge “La Loggia”  

7. Nota tecnica sull’attuazione dell’art. 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131 “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3”

8. Nota tecnica sull’attuazione dell’art. 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131 “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”

9. Documento UPI su “Le Città metropolitane: la nuova disciplina in attuazione della legge 131/03” – Roma, 14 ottobre 2003

PARTE SECONDA – L’ipotesi di revisione della Costituzione

1. Nota sul Disegno di legge costituzionale “Modificazioni all’articolo 117 della Costituzione”

2. Ordine del Giorno del Direttivo UPI e dell’Assemblea dei Presidenti di Provincia del 23 ottobre 2003 sulla riforma costituzionale

3. Documento UPI sul Disegno di legge costituzionale concernente “Modificazione degli articoli 55, 56, 57, 58, 59, 60, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 72,80, 81, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 104, 114, 116, 117, 126, 127, 135, 138 della Costituzione”  – Audizione I Commissione – Senato della Repubblica – Roma, 29 ottobre 2003

4. Nota unitaria sul Disegno di legge costituzionale concernente “Modificazione degli articoli 55, 56, 57, 58, 59, 60, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 72,80, 81, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 104, 114, 116, 117, 126, 127, 135, 138 della Costituzione”  


APPENDICE NORMATIVA 

1. Costituzione della Repubblica italiana (testo vigente)

2. Legge 5 giugno 2003, n. 131  “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”

3. Disegno di legge costituzionale sulla c.d. riforma ordinamento della Repubblica (A.S. 2544)

 

Cuspi – Presidenza e linee di indirizzo

COORDINAMENTO DEGLI UFFICI DI STATISTICA DELLE PROVINCE ITALIANE

 

Il Comitato di Presidenza è composto da Rossella Salvi (Rimini) – Presidente – Annamaria Barbucci (Firenze) – Gianfranco Garzolino (Vercelli) – Francesca Leone (Perugia) – Cinzia Viale (Rovigo) – Giuseppina Vilasi (Reggio Calabria)

 

Linee di indirizzo  – Le Province e la statistica

Le Province italiane non hanno una lunga tradizione in materia statistica. Fino al 1990 i compiti statistici a livello provinciale venivano affidati generalmente agli uffici delle Camere di Commercio. Con il d. lgs. 322/89 viene istituito il Sistema statistico nazionale e si prevede l’istituzione degli uffici di statistica anche nelle Province italiane. Nell’ambito del Sistema statistico nazionale, però, le Province restano ai margini del sistema, poiché permangono le competenze statistiche degli uffici camerali e viene affidato agli uffici di statistica delle Prefetture il compito di coordinare l’attività statistica in ambito locale.

Nonostante ciò, l’art. 14, comma 1, lett. l, della legge 142/90, ha affidato alle Province la competenza relativa alla raccolta ed elaborazione dati e all’assistenza tecnico ed amministrativa agli enti locali. Successivamente, il processo di trasferimento di funzioni dallo Stato alle Autonomie locali avviato dalla legge 57/97 ha rafforzato il ruolo delle Province di enti di governo di area vasta  ed ha posto l’esigenza del coordinamento delle informazioni come uno dei punti essenziali per la realizzazione di un sistema istituzionale policentrico. Non a caso, proprio nel Testo unico sull’ordinamento degli enti locali (D. lgs. 267/200) si afferma esplicitamente che la Provincia coordina lo sviluppo locale e viene confermata la necessità di prevedere sistemi informativi statistici in grado di garantire la circolazione delle informazioni nell’ambito degli enti locali e nel paese. Infine, con la riforma del Titolo V della Costituzione le Province, insieme ai Comuni, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato diventano elementi costitutivi della Repubblica, ovvero i livelli istituzionali intorno a quali occorre organizzare l’azione pubblica.

Inoltre, per le attività statistiche ufficiale, l’ambito provinciale diviene sempre di più una chiave di lettura dei fenomeni territoriali, economici ed ambientali. Storicamente, in Italia, la società civile e politica (i sindacati, le associazioni professionali, la chiesa, i partiti) ha eletto il territorio provinciale come circoscrizione territoriale essenziale per la sua articolazione organizzativa. Anche a livello europeo, le analisi statistiche di Eurostat e le politiche comunitarie hanno spesso come riferimento territoriale proprio la dimensione provinciale (Nuts 3).

Sulla base di questi dati normativi ed esigenze informative, nel corso degli anni ’90, le Province hanno cominciato ad istituire al proprio interno gli uffici di statistica: fino ad oggi 67 province su 100 lo hanno fatto. In questi anni, l’UPI e gli uffici di statistica delle Province hanno cominciato ad organizzare una presenza istituzionale nel Comitato di indirizzo dell’informazione statistica ed un’attività di relazioni nell’ambito dell’Istat e del Sistan, insieme ai rappresentanti degli uffici di statistica dei Comuni e delle Regioni (attraverso la partecipazione a circoli di qualità, commissioni, gruppi di lavoro per i censimenti, per la riforma del Sistan, per l’elaborazione del Programma statistico nazionale che deve avere obbligatoriamente il parere della Conferenza unificata, ecc.).

Su scala nazionale, gli uffici di statistica delle Province hanno cominciato a svolgere insieme delle attività di elaborazione e di ricerca nell’ambito del Programma statistico nazionale ed hanno iniziato a coordinarsi tra di loro, utilizzando la rete internet e scambiando informazioni su un area riservata.

Nel 1999 si costituito il Coordinamento degli uffici di statistica delle province italiane (CUSPI) che si è attivato innanzitutto sui seguenti obiettivi:

1. la realizzazione di una efficiente rete di uffici di statistica provinciali;

2. la riforma del Sistema statistico nazionale, attraverso l’elaborazione di un documento comune con i rappresentanti delle regioni, dei Comuni, delle Comunità montane, delle Camere di commercio, e dell’ISTAT, che prevede l’adeguamento del SISTAN al nuovo assetto dei poteri pubblici derivante dal processo di trasferimento di funzioni a Regioni e Autonomie locali, attraverso la creazione di un sistema a rete, unitario e policentrico, della statistica pubblica (un documento sulle linee di riforma è stato approvato nella Conferenza unificata del 4 aprile 2000);

3. il rapporto con l’Istat, per la definizione di un quadro di cooperazione che consenta alle Province di utilizzare a pieno il patrimonio informativo delle statistiche pubbliche ufficiali e le risorse organizzative dell’Istituto nazionale di Statistica e, allo stesso tempo, permetta al paese di avere informazioni sulle attività delle Province e sulla loro realtà territoriale.

Su tali basi si è pervenuti alla stipula del Protocollo di intesa tra ISTAT e UPI del 21 luglio 2000. Il protocollo ha trovato una prima attuazione con la nomina di un gruppo paritetico che ha operato nell’anno 2001 al fine di elaborare ed approvare proposte e progetti relativamente a:

un sistema informativo statistico delle province italiane;

la raccolta di informazioni relative all’organizzazione e alle attività delle Province;

un programma di formazione per gli uffici di statistica provinciali.

In particolare, il progetto di sistema informativo statistico delle Province italiane è stato approvato dagli organismi direttivi di UPI ed ISTAT. Il progetto prevede come prima fase lo sviluppo di un sistema di scambio di informazioni statistiche, attraverso la formazione di database che raccolgano le informazioni disponibili presso l’ISTAT e le elaborino in funzione delle esigenze delle Province. Le Province, attraverso un gruppo di lavoro degli uffici di statistica che aderiscono al CUSPI, hanno preso l’impegno con il Direttore del SISTAN di svolgere le attività di progettazione esecutiva e di realizzazione di una prima versione della banca dati in vista della Conferenza statistica nazionale del 2002.

L’evoluzione delle attività degli uffici di statistica delle Province pone oggi l’esigenza di dare ulteriore stabilità alle attività del CUSPI. Nell’assemblea di Bologna del 10 gennaio 2002 si è perciò stabilito di rivedere l’organizzazione del CUSPI, attraverso un Regolamento che chiarisca esplicitamente la natura di Coordinamento degli uffici di statistica ad adesione volontaria, che opera esplicitamente nell’ambito dell’Unione delle Province d’Italia. Questa decisione è stata ratificata nell’assemblea del 9 maggio 2002, nella quale sono stati definiti i nuovi organismi di coordinamento.

La riorganizzazione del CUSPI è finalizzata all’avvio di una nuova fase di attività delle Province nella materia statistica.

In questi primi 10 anni di avvio delle attività degli uffici di statistica provinciali si è pensato soprattutto a creare una prima rete degli uffici di statistica e a rivendicare il riconoscimento delle loro competenze nell’ambito del SISTAN.

Alla luce dell’esperienza e della nuova collocazione costituzionale delle Province, quali enti territoriali con funzioni amministrative proprie, occorre ora collocare l’attività statistica delle Province italiane al centro di una strategia di alleanze istituzionali con le Camere di Commercio, gli Uffici territoriali del Governo, i Comuni e gli altri enti che operano nel territorio provinciale, al fine di realizzare sistemi statistici provinciali in grado che permettano alle Province di rispondere a pieno alla loro vocazione istituzionale di enti di governo di area vasta, di programmazione  e di coordinamento dello sviluppo locale.

Allo stesso tempo, occorre favorire la cooperazione statistica in ambito regionale e in ambito nazionale, nell’ambito del SISTAN e di quanto previsto dalle normative regionali, valorizzando gli accordi e le intese con le Regioni e con l’ISTAT, nella prospettiva della riforma del Sistema statistico nazionale, attraverso l’approvazione di una nuova disciplina sul coordinamento dell’attività statistica nazionale, che tenga conto del nuovo assetto costituzionale.

Una visione condivisa per l’egovernment

La seconda fase dell’e-government ha alla base la definizione di una visione strategica comune tra Stato, Regioni ed Enti locali, contenuta nel documento “L’e-government per un federalismo efficiente: una visione condivisa, una realizzazione cooperativa”.

Il documento prevede la realizzazione di sette linee di azione con i relativi fondi.


Cfr. il file allegato

 

Documenti allegati:

Parere UPI sulla finanziaria 2004 e sul DL collegato

DOCUMENTO DELL’UNIONE DELLE PROVINCE D’ITALIA SU

DISEGNO DI LEGGE FINANZIARIA 2004 (as 2512)
“DISPOSIZIONI PER LA FORMAZIONE DEL BILANCIO ANNUALE E PLURIENNALE DELLO STATO

E

DECRETO LEGGE 269/03
“DISPOSIZIONI URGENTI PER FAVORIRE LO SVILUPPO E PER LA CORREZIONE DELL’ANDAMENTO DEI CONTI PUBBLICI”

Roma, 23 ottobre 2003
 


 

DISEGNO DI LEGGE AS 2512
DISPOSIZIONI PER LA FORMAZIONE DEL BILANCIO ANNUALE E PLURIENNALE DELLO STATO (LEGGE FINANZIARIA 2004)


 

1.FEDERALISMO FISCALE

L’art. 3, comma 4, del disegno di legge conferma per il 2004 la compartecipazione provinciale (1%) e comunale al gettito Irpef, mentre il comma successivo proroga l’attività dell’Alta Commissione fino alla presentazione della relazione al Governo e comunque per tutto il 2004.
Il disegno di legge finanziaria per il 2004 congela di fatto l’attuazione dell’art. 119 Cost in materia di federalismo fiscale, nonostante quanto previsto nell’intesa interistituzionale siglata con il Governo nel maggio del 2002. Già nel documento UPI approvato in occasione della presentazione del Dpef 2004-2007 si era richiamata l’intesa interistituzionale e l’espresso riferimento, in esso contenuto, alla necessità che già il Dpef 2002 indicasse un percorso chiaro verso l’attuazione dell’art. 119 Cost..
Dal disegno di legge finanziaria, invece, appare evidente la non volontà di realizzare un compiuto sistema di federalismo fiscale, almeno in tempi ragionevolmente brevi, perché, se da un lato si blocca la dinamicità delle addizionali regionali e comunali, dall’altro si svuota completamente il significato dei lavori dell’Alta Commissione, nonostante il sistema delle regioni e delle autonomie locali abbia sollevato più volte la necessità di far lavorare in tempi rapidi tale Commissione.
A tal fine si ricorda che già da mesi le Regioni e gli Enti locali hanno sottoposto all’attenzione del Governo una bozza di accordo, ai sensi dell’art.. 3 della legge n.289/02, ma rispetto alla quale non si è avuta risposta.


2.PATTO DI STABILITA’

Il disegno di legge non interviene sulle norme relative al patto di stabilità interno già previste dalla legge finanziaria 2003, il cui meccanismo viene così confermato.
Le proposte di modifica che  Anci e Upi hanno formulato in più occasioni al Governo, erano dirette ad attenuare l’impatto finanziario del patto sugli enti locali. Allo stesso tempo evidenziavano una situazione di forte sofferenza di Comuni e Province rispetto agli obiettivi previsti per il  2003 anche alla luce delle sanzioni già previste dalla finanziaria vigente che comportano, in caso di sforamento, un “commissariamento” degli enti. Va infatti sottolineato che già molti enti hanno fatto presente le reali possibilità di essere fuori, già da quest’anno, dai vincoli imposti, con l’ovvia conseguenza di subire le sanzioni previste (riduzione del 10% della spesa per acquisto di beni e servizi, blocco totale delle assunzioni e impossibilità di indebitamento per investimenti), cosa che condurrà inevitabilmente a non poter rientrare nei limiti neanche per il 2004, nonostante la possibilità prevista all’art.10, co.5 del disegno di legge finanziaria, che consente agli enti locali di non calcolare i maggiori oneri di personale derivante dal rinnovo contrattuale del biennio 2002-2003 (5,66%)-.
È necessario, fin dal 2003, consentire l’esclusione delle spese sostenute a fronte di contributi finalizzati ricevuti da altri enti assoggettati al patto; è altresì necessario eliminare anche la sanzione relativa alla limitazione della spesa del 10% per beni e servizi e al ricorso all’indebitamento per investimento. Ciò anche in vista dei meccanismi previsti a partire dal 2005, che innovando il novero delle voci da includere, introduce anche le spese per investimento, determinando inevitabilmente una contrazione delle stesse.

Emendamenti specifici

All’art. 29, comma 5, lett.d) della legge n.289/02

– Dopo le parole dall’Unione Europea aggiungere le parole e dagli altri enti che partecipano al patto di stabilità interno

– Al comma 15 sopprimere cancellare dalle parole a qualsiasi titolo fino alla fine del comma


3. TAGLIO DEI TRASFERIMENTI E COMPARTECIPAZIONE PROVINCIALE ALL’IRPEF

Il disegno di legge finanziaria per il 2004 non innova il contenuto dell’art. 24, comma 9, della legge finanziaria 2002 n. 448/01, che taglia i trasferimenti erariali del 3%. Non vi è peraltro traccia dell’incremento degli stessi del tasso di inflazione programmata
Inoltre, come già ricordato la compartecipazione Irpef rimane bloccata all’1% anche per l’anno 2004. A tal fine giova ricordare che il documento UPI relativo al Dpef 2004-2007 aveva espressamente richiesto, la possibilità di istituire un’addizionale provinciale all’Irpef, quale strumento di effettiva autonomia finanziaria, flessibile e manovrabile, anche a garanzia di una maggiore responsabilizzazione dell’attività degli enti nei confronti delle collettività amministrate

 

4. IVA TRASPORTI

L’art. 7 del disegno di legge finanziaria stanzia 282 milioni di euro per ognuno degli anni 2004, 2005 e 2006 a ristoro dei maggiori oneri sostenuti nel triennio  2001-2003 da Regioni ed enti locali, relativamente alle quote Iva spettanti per il settore trasporti e per i servizi esternalizzati.
Tale riconoscimento, avvenuto dopo mesi di reiterate richieste, va a colmare una lacuna relativa ad un triennio già concluso, ma non risolve nulla circa la necessità di garantire al sistema delle regioni e degli enti locali  la possibilità di ottenere tali rimborsi con meccanismi certi e definiti per gli anni 2004 e seguenti.

 

5. REGIME DELLE ASSUNZIONI

L’art. 11 del disegno di legge finanziaria conferma sostanzialmente regime delle assunzioni già previsto per il 2003.
Va però sottolineato che, ancora oggi, manca il Dpcm che deve ‘sbloccare’ le assunzioni per l’anno in corso e l’accordo sancito a monte di tale Dpcm comporta, laddove si indicano specifici parametri di calcolo, la sostanziale impossibilità di procedere alle assunzioni anche per gli enti virtuosi. È necessario che tale divieto cada per il 2004, perché non mette gli enti, neanche quelli che rispettano il patto, nelle condizioni di poter operare in maniera efficace e funzionale, ciò anche in virtù della loro autonomia finanziaria e organizzativa.

Emendamento specifico

All’art. 11 del disegno di legge,sopprimere il comma 6.

 

6. PIANO STRAORDINARIO PER LA MESSA IN SICUREZZA DEGLI EDIFICI SCOLASTICI

L’art. 14, comma 4 stanzia per il piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici, già previsto dal comma 21, art. 80 della legge finanziaria 2003, come parte integrante del  programma di infrastrutture strategiche, un importo non inferiore al 10% delle risorse stanziate dalla l.n.166/02, recante disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti: tale legge ha previsto 193 mil di euro per il 2002, 160 milioni per il 2003 e 109 per il 2004
Tale stanziamento va sicuramente nella direzione indicata da tempo dall’UPI, relativamente alla situazione di sofferenza di gran parte degli edifici adibiti ad uso scolastico.
Va comunque definito ancora l’ammontare complessivo cui riferire la quota minima del 10%: non è chiaro se si riferisce al triennale stanziato per il 2002-2004 e ai fondi eventualmente non utilizzati, o solo per l’annualità 2004.
Vanno inoltre esplicitate le modalità di riparto di tali risorse: è evidente la necessità di dare priorità alle indicazioni che provengono dagli enti locali e dalle Regioni.

 Va peraltro segnalato anche lo stanziamento triennale della l.n.362/98 (legge di finanziamento della l.n.23/96) di circa 31 milioni di euro per ciascun anno 2004, 2005 e 2006, come riportato nell’allegato 5 “importi da iscrivere in bilancio in relazione alle autorizzazioni di spesa recate da leggi pluriennali” (economia e finanze: 3.2.3.9 – edilizia scolastica Cap.7080).

 

7. RIMBORSO ECOINCENTIVI

Le disposizioni contenute nell’art. 2 del d.l. 138/02, convertito c.m. nella l.n. 178/02, e nel d.l. 13/03, convertito c.m. nella l.n. 39/03, recanti interventi urgenti a sostegno dell’economia, hanno previsto l’esenzione del pagamento dell’IPT a fronte di acquisto di veicoli, nuovi od usati, conformi alle direttive comunitarie sull’inquinamento, previa rottamazione.
Le due norme hanno comportato una riduzione di gettito per le Province pari a 32 milioni di euro per l’anno 2002 e ad un importo presumibilmente simile per l’anno 2003 per un totale di oltre 60 milioni di euro.
Le disposizioni relative al rimborso prevedevano espressamente un rimborso mensile alle Province, direttamente presso le tesorerie dei singoli enti, in deroga alle disposizioni sulla tesoreria unica, da contabilizzare in bilancio nel titolo I entrate tributarie.
Al contrario, in una nota metodologica diffusa dal Ministero dell’Interno, si fa riferimento a “incremento dei trasferimenti ordinari a favore delle Province derivanti dalla parziale esenzione dell’imposta provinciale di trascrizione”
 Si ribadisce la necessità di prevedere in legge finanziaria il rimborso di tali somme mediante accredito diretto alle Province, senza che avvenga alcun passaggio attraverso il Ministero dell’Interno, all’interno del monte dei trasferimenti erariali. In tale senso si ricorda che tale rimborso ci era stato garantito già in sede di assestamento di bilancio.
E’ comunque evidente la necessità di aggiungere contabilmente al novero delle entrate incassate nell’anno 2003 l’importo degli ecoincentivi 2002/2003 non erogati dal Ministero, ai fini del calcolo del disavanzo relativo al patto di stabilità.

 

Emendamento

All’art. 2 comma 4, della legge n. 178/02, di conversione del d.l. 8 luglio 2002, n. 138, dopo le parole dei rispettivi bilanci inserire le parole e vengono contabilizzati nel novero delle entrate, anche se non ancora erogati dal ministero competente.

 

8. ADDIZIONALE PROVINCIALE PER IL CONSUMO DI ENERGIA ELETTRICA

Come già sottoposto all’attenzione del Ministro dell’Economia, la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica ha introdotto soggetti produttori di energia diversi dall’Enel. In questo senso va ricordato che la norma che istituiva l’addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica, per utenze non domestiche fino a 200KW e consumo mensile inferiore a 200.000 Kw non determinava particolari problemi essendo l’Enel l’unico produttore e distributore sul mercato, mentre ora gli altri nuovi soggetti produttori non versano tale addizionale alle province, ma solo all’erario, definendo soggetti non distributori.
Ciò sta recando danni sempre più cospicui alle Province in termini di perdita di gettito. È necessario intervenire per via legislativa la fine di individuare e censire i soggetti produttori, anche se non distributori, per consentire il ripristino della situazione originaria.
Andrebbe dunque emendato l’art. 6, comma 3, della legge n. 511/88 laddove si fa riferimento solo alle imprese distributrici e non alle imprese produttrici.


Emendamento specifico

All’art. 6, comma 3, della l.n. 511/88, dopo la parola imprese aggiungere le parole produttrici e
 


9. RECUPERO SOMME PREGRESSE

L’art. 31, co. 12, della legge 289/03 ha previsto un meccanismo di recupero, da parte dello Stato nei confronti di comuni e province, di somme non recuperate a causa di inesistenti o insufficienti trasferimenti erariali, a fronte dell’attribuzione del gettito Rca e Ipt, addizionale Enel e trasferimento di personale ATA allo Stato.
In più occasioni l’UPI ha sottolineato la dubbia legittimità di una norma che prevede il recupero con effetto retroattivo (su ogni tipo di voce, compartecipazione e decentramento comprese), operando in tal modo su bilanci già chiusi. Tale illegittimità si rende ancor più evidente per quanto riguarda il trasferimento del personale ATA (la legge n.124/99 non prevede azioni di recupero in caso di insufficienti trasferimenti erariali) e l’assegnazione del gettito IPT nonchè la devoluzione del gettito RCAuto (il d.lgs. 446/97 prevede il recupero solo su trasferimenti ordinari ovvero su contributi a qualsiasi titolo dovuti dal ministero dell’Interno).

Emendamento specifico

All’art. 31, co. 12, l.n.289/02 sopprimere le parole “all’art. 61 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, all’articolo 8 della legge n. 124, e”

 

10.PROCEDURA AGEVOLATA RISCOSSIONE CREDITI. ESTENSIONE ALLE PROVINCE

Il d.l. 209/02, convertito con modificazioni nella l.n. 265/2002 prevede la possibilità per i comuni di attivare le procedure privilegiate per il recupero coattivo dei propri crediti.
Si chiede un intervento legislativo che estenda tale possibilità anche alle Province.

Emendamento specifico

All’art.4, co.2 sexies, del d.l.209/02, dopo la parola comuni inserire le parole le province


11. POTENZIAMENTO CENTRI PER L’IMPIEGO

Il disegno di legge finanziaria per il 2004 non contiene misure ad hoc per il potenziamento dei centri per l’impiego. Giova ricordare che, a decorrere dall’anno 2001, sono stati stanziati annualmente 51 milioni di euro: appare ora quanto mai opportuno, proprio in virtù della liberalizzazione del mercato del lavoro operata dalla c.d. “riforma Biagi”, sostenere e contribuire alla implementazione dei centri per l’impiego provinciali.


12. E-GOVERNMENT

L’UPI rileva che nel disegno di legge finanziaria per il 2004 non sono previsti fondi per l’e-government a favore delle Regioni e degli Enti locali. A seguito del Piano di azione per l’e-government del 2000 sono stati avviati da Comuni, Province e Regioni progetti di grande rilevanza innovativa che hanno stimolato gli investimenti per la promozione e la diffusione delle nuove tecnologie della Società dell’Informazione a livello locale, anche nelle aree più svantaggiate del paese. Occorre dare seguito agli sforzi compiuti in questi anni prevedendo finanziamenti specifici per le ulteriori implementazioni tecnologiche e organizzative, per il riuso e per la generale diffusione nel territorio dei progetti in corso. Al contrario, nel ddl di legge finanziaria per il 2004 e nel DL 269/03, si assiste ad una centralizzazione delle risorse per l’innovazione tecnologica (ad es.: 135 ml di euro per il digitale terrestre, 30 ml di euro per l’accesso ad internet a larga banda, 50 ml di euro per il 2004 per l’Istituto Italiano di Tecnologie).

 

13. RIMBORSO INTERESSI OBBLIGAZIONI ENTI LOCALI

L’art. 27 della Legge 21.11.2000 –n.342 stabiliva che le ritenute (di cui all’art.1 comma 2 del Dlgs. 1.4.1996 –n.239) sugli interessi delle obbligazioni emesse dagli enti locali, sarebbero affluiti “all’entrata del bilancio dello Stato e il 50 per cento del gettito della medesima imposta che si renderebbe applicabile sull’intero ammontare degli interessi passivi del prestito è di competenza degli enti emittenti. Alla retrocessione agli enti territoriali emittenti i titoli obbligazionari della predetta quota di competenza si provvede mediante utilizzo di parte delle entrate affluite al bilancio dello Stato e riassegnate, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, allo stato di previsione del Ministero dell’interno”.
I relativi versamenti non sono mai stati effettuati.


 

DECRETO 269/03
DISPOSIZIONI URGENTI PER FAVORIRE LO SVILUPPO E PER LA CORREZIONE DELL’ANDAMENTO DEI CONTI PUBBLICI


Art. 5 (Trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni)

La trasformazione della Cassa DDPP in società per azioni desta particolari perplessità  in ordine alla modifica sostanziale della mission della stessa.
È infatti necessario che non si proceda ad una sostanziale marginalizzazione degli obiettivi originari della Cassa nata come strumento privilegiato per il finanziamento degli investimenti degli enti locali.
Inoltre non è ben chiaro cosa si voglia finanziarie con la costituzione della Spa, attraverso la gestione ordinaria di cui al punto b) del comma 7: se infatti i servizi pubblici nazionali trovano il loro canale di finanziamento in Infrastrutture spa, è necessario che al punto b) si specifichi che il finanziamento è destinato, tra l’altro, alla fornitura di servizi pubblici locali, proprio in virtù della strutturale natura della Cassa.
A tal fine si chiede che il consiglio di amministrazione di cui al comma 4 preveda, in via permanente un’adeguata rappresentanza del sistema delle regioni e degli enti locali


Art. 14 (Servizi pubblici locali)

Tale articolo modifica gli artt. 113 e 113 bis del testo d.lgs. 267/00 superando alcune previsione dell’art. 35 della legge finanziaria 2002, che avevano suscitato non poche perplessità, soprattutto relativamente alla previsione del regolamento attuativo per l’individuazione dei servizi privi di rilevanza industriale.
Occorre rilevare innanzitutto le perplessità relativamente ad un intervento di urgenza sulla materia dei servizi pubblici locali, in quanto tale materia è di natura ordinamentale ed è oggetto già di una specifica delega (art. 2 l.n. 131/03) che prevede, appunto, l’individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, nonché la revisione delle disposizioni di legge in materia di enti locali..
A tal fine è auspicabile che le disposizioni del decreto legge si limitino esclusivamente alle norme in materia di concorrenza per favorire la liberalizzazione dei servizi pubblici locali e non invadano aspetti organizzativi riservati all’autonomia degli enti, e alla specifica disciplina del testo unico.



Art. 15 (Acquisto di beni e servizi)

Con l’eliminazione dei due primi commi dell’art. 24 della  legge n.289/02, viene meno l’obbligo di rivolgersi alla Consip per l’acquisto di beni e servizi ovvero di espletare procedure aperte anche per forniture il cui valore di contratto fosse superiore a 50 mila euro.
Ciò comporta che gli enti hanno la facoltà di avvalersi delle convenzioni Consip oppure di utilizzarne i parametri di qualità e prezzo per l’acquisto di beni comparabili con quelli oggetto di convenzionamento.
In virtù dell’autonomia finanziaria e organizzativa degli enti locali, dunque, appare incongruente la permanenza di una norma che impone la comunicazione alla Corte dei Conti circa le trattative private effettuate.

Emendamento specifico

Eliminare il comma 5 dell’art. 24 della l.n.289/02

 

Art.  32 (Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali)

Il comma 10 prevede la realizzazione di un programma di interventi di messa in sicurezza del territorio nazionale dal dissesto idrogeologico, cui viene destinata una somma di 20 mil di euro per l’anno 2004, e di 40 per ciascuno degli anni 2005 e 2006.
Si riconosce, come per l’edilizia scolastica, una particolare attenzione rispetto alla sicurezza dei territori, come da storica richiesta UPI, ma si sottolinea come i meccanismi di individuazione degli interventi da attuare appaiano troppo centralizzati: è necessario che il decreto che il Ministero dell’Ambiente dovrà emanare per l’individuazione delle aree comprese nel programma, venga emanato d’intesa con la Conferenza Unificata. A tal proposito appare utile sottolineare che i processi di sanatoria degli abusi edilizi incideranno inevitabilmente in maniera significativa sulla messa in sicurezza dei territori.
Allo stesso tempo si richiede che la somma stanziata, che deve intendersi in conto capitale, sia direttamente erogata alle Province, in virtù delle importanti funzioni esercitate in materia di assetto del territorio e tutela delle risorse naturali.



Data l’analisi congiunta sul testo del disegno di legge finanziaria per il 2004 e delle norme contenute nel decreto recante misure urgenti per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, l’Unione delle Province d’Italia esprime parere negativo.

Il 28 ottobre Consigli provinciali aperti

Il 28 ottobre i consigli provinciali di tutta Italia saranno aperti ai cittadini, alle forze sociali e alle forze politiche, per discutere del tema dell’occupazione e del mercato del lavoro.

Una giornata di riflessione, promossa dall’ Unione delle Province d’Italia, al termine della quale sarà votato un ordine del giorno nel quale gli amministratori ribadiscono la propria preoccupazione rispetto al nuovo assetto del mercato del lavoro introdotto dal decreto legislativo attuativo della Legge Biagi, per le incertezze legislative che non individuano con chiarezza il soggetto responsabile di fronte ai cittadini e per l’assenza delle risorse a sostegno della riforma.

Nel documento, con il quale le Province confermano il loro ruolo di soggetto naturalmente delegato a svolgere il ruolo di regia sul territorio, sia nei confronti degli altri soggetti pubblici  che nei confronti dei privati,  si ribadisce la necessità di un pieno riconoscimento dell’autonomia finanziaria e organizzativa, per potere competere in condizioni di parità e per svolgere adeguatamente un ruolo di soggetto regolatore del mercato del lavoro locale.

Le Province si rivolgono poi alle Regioni, cui chiedono il rispetto di un corretto rapporto istituzionale, e al Governo perché siano coinvolte nelle prossime elaborazioni dei decreti che dovranno accompagnare l’attuazione e la messa in opera della riforma.


Ai soggetti privati invece dichiarano il loro impegno a collaborare per raggiungere un sistema misto produttivo ed efficace.

 

La moderna programmazione e gestione faunistico-venatoria del territorio

L’ Assessorato Difesa Fauna” della Provincia di Pisa sta portando avanti un’intensa opera di programmazione e gestione della fauna selvatica, ispirata a moderni criteri di pianificazione ed innovazione. Tale impegno ha consentito di dotare la Provincia di alcuni importanti strumenti: un dettagliato “Piano Faunistico Venatorio Provinciale“; un articolato “Documento per la programmazione faunistica e venatoria del terriorio provinciale“; un innovativo “Protocollo tecnico di intesa tra la Provincia di Pisa e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica per il controllo numerico delle specie problematiche” e una serie di moderni Regolamenti per il risarcimento e la prevenzione dei danni arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole e per la gestione ambientale, faunistica e venatoria degli istituti pubblici (Zone di Ripopolamento e Cattura e Zone di Rispetto Venatorio) e privati (Aziende Faunistico Venatorie e Aziende Agrituristico Venatorie). Tutti questi strumenti sono stati preventivamente elaborati di concerto con le Associazioni Venatorie, Agricole ed Ambientaliste, nonché con gli Ambiti Territoriali di Caccia. Oggi questo insieme di strumenti è organicamente operante con risultati positivi, in termini di conservazione della fauna selvatica, di miglioramento ambienatale e di riduzione dei danni alle colture agricole. Il Convegno del 24.10 p.v. intende proporre la positiva esperienza compiuta dalla Provincia di Pisa, quale laboratorio di esperienze ed innovazioni, all’attenzione di un vasto pubblico di soggetti interessati ai temi della moderna programmazione e gestione faunistico-venatoria del territorio e, tramite il contributo di qualificati relatori, rappresentare anche una più generale occasione di riflessione sulle prospettive future.

 

Il programma del convegno del 24 ottobre nelle pagine della Provincia di Pisa



 

L’intervento del Presidente nell’audizione al Senato.

Una manovra “blindata”, la contrazione dei trasferimenti a cui non ha fatto seguito l’avvio del federalismo fiscale, il patto di stabilità che impedisce agli enti di amministrare: ecco i nodi sulla finanziaria che l’Unione delle Province d’Italia ha presentato all’audizione con la commissione finanze del Senato di oggi.

 “Questa – ha detto ai senatori il Presidente Lorenzo Ria – è una finanziaria che lascia aperti pochissimi spiragli di confronto, sia per i governi locali che per lo stesso Parlamento. La scelta di inserire gli interventi più incisivi nel decreto legge, chiude la porta ad una vera discussione. E poi,- ha proseguito Ria – agli Enti locali si chiede un impegno economico che non si è più in grado sostenere. All’ennesima contrazione dei trasferimenti,  al mancato riconoscimento del tasso di inflazione programmata, si aggiungono i vincoli di un patto di stabilità che impedisce a Province e Comuni la piena autonomia amministrativa, li imbriglia, li penalizza e rischia di portare alla paralisi degli enti.  L’unica soluzione in grado di assicurare nuovo ossigeno alle casse degli enti locali, il federalismo fiscale, continua ad essere rimandata. Anzi,  – ha concluso il Presidente Ria – ormai viene considerata dal Ministro Tremonti alla stregua di una scomoda e fastidiosa ‘sperimentazione’.”

Consigli provinciali aperti sul tema dell’acqua – 5 giugno 2003

ORDINE DEL GIORNO RELATIVO AL RICONOSCIMENTO DELL’ACQUA COME BENE COMUNE E PATRIMONIO DELL’UMANITA’ E L’ACCESSO ALL’ACQUA POTABILE COME UN DIRITTO UMANO FONDAMENTALE DEGNO DI PROTEZIONE GIURIDICA

  

PREMESSO CHE

l’acqua rappresenta la principale fonte di vita insostituibile per tutti gli ecosistemi, dalla cui disponibilità dipende la ricchezza e il benessere delle popolazioni;

ad oggi più di 1,4 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile e che, in prospettiva,  le persone senza accesso all’acqua potabile diventeranno più di 3 miliardi nel 2020 se non interverranno adeguate politiche di utilizzo sostenibile;

anche l’Italia è interessata da frequenti periodi di emergenza idrica nonché da eventi alluvionali che evidenziano, oltre all’inadeguatezza dei sistemi di distribuzione dell’acqua potabile, anche la carenza di una efficace politica di pianificazione ambientale volta alla effettiva tutela e valorizzazione della risorsa;

 

CONSIDERATI

le numerose dichiarazioni e conferenze internazionali  sul tema dell’acqua, dove tale risorsa viene riconosciuta come bene comune necessario e inalienabile, tra cui la Carta di Montreal (1990), la Dichiarazione di Parigi (1998), la Conferenza Internazionale di Bonn (2001), solo per citarne alcune;

i fenomeni di inquinamento e desertificazione che contribuiscono a rendere ancora più preziosa la risorsa acqua sul nostro pianeta, unitamente ad un uso non razionale e non sostenibile

le condizioni particolarmente critiche del nostro Paese, soprattutto nelle zone del Mezzogiorno, dove accanto al fabbisogno giornaliero di acqua potabile, vanno create le condizioni per sostenere adeguatamente le politiche agricole, settore economicamente trainante per tutta l’Italia creare le condizioni per assicurare l’accesso all’acqua, effettivo e sostenibile,

gli sforzi della Comunità Internazionale su questo specifico problema, accanto ai quali ogni singolo Stato deve sapersi impegnare, a partire da una forte campagna informativa e di sensibilizzazione, al fine di responsabilizzare l’opinione pubblica in materia di utilizzo, risparmio, condivisione e tutela dell’acqua;

il Ministero dell’Ambiente nel proprio documento “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia” (15 luglio 2002) nel capitolo dedicato alle risorse idriche sottolinea che per gli usi civili, riconoscendo l’acqua come un bene essenziale, sia giusto garantire a tutti la soddisfazione dei fabbisogni essenziali a condizioni pienamente sopportabili dal punto di vista economico;

i due eventi internazionali in cui il tema dell’acqua è stato al centro dei tavoli di lavoro costituiti dai rappresentanti di tutti i Paesi, sia quelli delle aree industrializzate che quelli in via di sviluppo: la Conferenza Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg (agosto 2002) ed il Terzo Forum Mondiale sull’Acqua di Kyoto (marzo 2003);

 

RITENUTO

necessario ed urgente l’inserimento di una corretta la politica dell’acqua ai primi posti dell’agenda politica italiana locale e nazionale considerando tale risorsa  come “bene comune pubblico” attraverso uno statuto di condivisione, gestione e protezione della risorsa e garantendo il “diritto di accesso” a tutte le popolazioni e alle generazioni future definendone gli usi, le pratiche e le regole per favorirne l’uso e la condivisione, in linea anche con i principi generali introdotti dall’art. 1 della Legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche) per cui:

tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono una risorsa che deve essere salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di  solidarietà;

qualsiasi uso delle acque deve essere effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritte delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale;

gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri ideologici;

di sostenere, condividere e di fare propri i contenuti del “Contratto Mondiale dell’Acqua” promosso dal Comitato Internazionale istituito a difesa del diritto all’acqua, che ha tra gli obiettivi fondamentali quelli di promuovere il diritto di accesso all’acqua potabile per tutti, all’informazione sulle sue problematiche e di far riconoscere l’acqua come bene comune e patrimonio dell’umanità;

di condividere i contenuti della “Carta dell’Acqua degli Enti locali e dei cittadini”, documento promosso e sostenuto dal suddetto Comitato evidenziando,  la necessità di mantenere sotto il diretto controllo pubblico il ciclo integrato dell’acqua;

 

IMPEGNA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA PROVINCIALE

affinché vengano messe in atto tutte le iniziative per:

A) aderire alla Carta dell’Acqua degli Enti locali e dei cittadini al fine di impegnare la Provincia di …………….

in prospettiva locale:

a utilizzare, proteggere, conoscere e promuovere l’acqua come bene comune, nel rispetto dei principi fondamentali della sostenibilità integrale (ambientale, economica, politica e istituzionale);

a mantenere sotto controllo pubblico il ciclo integrato dell’acqua compresi il capitale ed i servizi ad essa collegati (infrastrutture e insieme dei servizi di captazione, adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione);

a garantire la sicurezza dell’accesso all’acqua, nelle quantità e qualità necessarie alla vita, a tutti i membri della comunità locale, in solidarietà con le altre comunità e con le generazioni future: la quantità minima indispensabile alla vita quotidiana è stimata intorno ai 40 litri di acqua al giorno per ogni persona. Tale quantità dovrà essere garantita come diritto e di conseguenza il costo essere commisurato alla necessità di mettere tutti i cittadini in condizione di poter fruire di tale diritto;

per meglio dare corso all’indirizzo suesposto del Ministero dell’Ambiente ed al fine di garantire pari accesso alla risorsa in termini di qualità e di quantità a tutti i cittadini della nostra Provincia, ad applicare un sistema tariffario giusto e solidale, fondato sul principio di sostenibilità e sulla lotta all’abuso: chi sovrautilizza risorsa dovrà sostenere costi più elevati;

a contribuire alla riduzione sul nostro territorio, e per quanto di propria competenza, dei prelievi eccessivi e sconsiderati sia in campo agricolo e zootecnico sia industriale;

a favorire la riduzione, al di sotto dei livelli di concentrazione massima ammissibile, delle sostanze inquinanti nelle acque superficiali e sotterranee, come previsto dalla legge n° 152/1999;

a promuovere le forme più innovative di partecipazione dei cittadini alla definizione delle politiche dell’acqua a livello locale tramite gli strumenti della democrazia rappresentativa, partecipativa e diretta e tramite un’intensa opera di formazione e informazione dei cittadini in materia d’acqua;

a promuovere il ritorno dell’acqua nei luoghi pubblici, (re)introducendo “punti acqua” di ristoro, informazione e cultura nei luoghi di incontro sociale (piazze, stazioni, giardini, aeroporti, stadi…) al fine di contrastare il consumo di acqua in bottiglia, così deleterio per l’ambiente, e di incentivare una nuova cultura dell’acqua;

in una prospettiva internazionale e mondiale:

ad operare affinché si destini, per ogni metro cubo d’acqua fatturato, una piccola percentuale al finanziamento di progetti di cooperazione internazionale che perseguono modelli sostenibili di gestione dell’acqua nei paesi sofferenti di penuria di acqua potabile (in attuazione dei principi esposti in Agenda 21);

a sostenere, a livello di cooperazione decentrata, il finanziamento di progetti di cooperazione e di scambio di esperienze tra abitanti delle nostre comunità e quelli di popolazioni africane, latino americane ed asiatiche, a livello di gestione dell’acqua;

a stimolare ed incentivare lo studio di soluzioni innovative per la realizzazione del diritto all’accesso all’acqua per tutti entro il 2020;

B) presentare formale proposta al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’Ambiente, affinché venga approvata ed adottata a livello nazionale la “Carta dell’Acqua” riconoscendo l’acqua come “bene comune e patrimonio dell’umanità “ e l’accesso all’acqua potabile come un diritto umano fondamentale degno di protezione giuridica;

C) inviare il presente ordine del giorno a tutti i Comuni della provincia invitandoli ad assumere la stessa iniziativa al fine di garantire sull’intero territorio la stessa politica di condivisione della risorsa;

D) promuovere nell’ambito di una campagna di informazione/sensibilizzazione della Provincia sul Risparmio Idrico la divulgazione dei contenuti relativi al presente Ordine del Giorno.

Il parere sul DPEF 2004-2007

Conferenza Unificata 24 luglio 2003

Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2004-2007

(Parere ai sensi dell’art.1-bis, co.2. legge 5 agosto 1978, n.468 e s.m.i.)

PREMESSA

L’intesa interistituzionale siglata nel giugno 2002, prevedeva un percorso comune nella fase di elaborazione delle linee del Dpef, come pure l’avvio del processo di costruzione del federalismo fiscale in attuazione dell’art.119 Cost.

È evidente che il sistema della fiscalità locale come pure l’individuazione di strumenti efficaci che garantiscano un’autonomia finanziaria per gli enti locali e per le province in particolare (che sono, tra tutti, quelle che hanno a disposizione leve fiscali assai insufficienti rispetto alle spese necessarie a garantire un efficiente esercizio delle funzioni proprie e conferite), rappresentano i capisaldi di un assetto istituzionale che vede, in via equiordinata, assegnare pari dignità a Stato, Regioni, Province, Comuni e Città Metropolitane.

Va in questo senso sottolineato il fondamentale ruolo che le Province svolgono nelle politiche di sviluppo locale, sotto molteplici direzioni: programmazione e pianificazione del territorio, formazione e mercato del lavoro, tutela e salvaguardia dell’ambiente, costruzione e manutenzione rete viaria, ecc.A tal fine, nelle scorse settimane l’UPI aveva formulato alcune proposte al Governo relativamente a possibili contenuti del Dpef, sia rispetto a politiche settoriali sia  rispetto ai meccanismi del patto di stabilità interno, ribadendo più volte la necessità di procedere in maniera concertata allo sviluppo delle linee del Documento di Programmazione Economico-finanziaria.

Nello specifico l’UPI aveva sottolineato la necessità di reperire risorse rispetto a: edilizia scolastica, manutenzione e gestione della rete stradale provinciale, modernizzazione e innovazione tecnologica nonché dissesto idrogeologico e salvaguardia delle risorse idriche ed energetiche.

Attenzione particolare merita inoltre la fase di interlocuzione avuta nei mesi scorsi rispetto alla possibilità di modificare i meccanismi relativi al rispetto del patto di stabilità interno per gli enti locali, proposta avanzata dall’UPI e basata sulla consapevolezza di dover apportare un significativo e responsabile contributo al risanamento del debito pubblico attraverso regole più chiare ed eque rispetto a tutti i settori che compongono il comparto della Pubblica Amministrazione, oltre che più rispettose dell’autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali.

I CONTENUTI DEL DPEF

Nel Documento in esame non vi sono elementi che corrispondono alle richieste dell’UPI, in nessuno dei settori considerati.

Non vi è peraltro cenno al ruolo, che invece è determinante nel raggiungimento degli obiettivi macroeconomici previsti, del sistema degli enti locali: se da un lato è stato, come è giusto, offerto uno spazio particolare alle misure a sostegno dello sviluppo nel Mezzogiorno, come pure alle grandi opere infrastrutturali che saranno funzionali per il Paese anche e soprattutto in un contesto europeo allargato ad est, non è chiaro il ruolo che viene assegnato al sistema degli enti locali (Province, Comuni e Comunità montane) rispetto alle prospettive di sviluppo locale per i prossimi anni.

Anche rispetto al patto di stabilità non ci sono riferimenti alle proposte avanzate nelle scorse settimane ma, al contrario viene fatto espresso riferimento ad un ulteriore giro di vite sugli acquisti di beni e servizi nonché ad una applicazione del patto di stabilità interno in coerenza con le prescrizioni europee. Viene così prefigurata una modifica alle attuali norme vigenti per il patto di stabilità interno per il 2004, senza che venga fatto cenno al fatto che fino ad ora, il sistema delle autonomie locali nel suo complesso ha sempre dimostrato un forte senso di responsabilità nei confronti degli impegni assunti dal  Paese nei confronti dell’UE, centrando sempre gli obiettivi previsti dalle leggi finanziarie.

L’Upi ritiene doveroso infine, porre l’accento sulla necessità di fare immediata chiarezza circa le risorse finanziarie essenziali per concludere la fase del rinnovo contrattuale (in ritardo di oltre 18 mesi) per il comparto Regioni-Enti locali: le rassicurazioni fatte in merito dal Governo non chiariscono se l’aumento dello 0.99% della retribuzione applicato al tabellare – alla stregua degli altri comparti dei dipendenti pubblici – sul quale l’UPI aveva espressamente richiamato la necessità che tale percentuale fosse esclusa dal calcolo utile ai fini del patto di stabilità, dovrà essere a carico degli enti locali oppure no.

Stante la premessa iniziale e valutata l’assenza di contenuti relativamente alla relazione che intercorre tra il rilancio dello sviluppo economico del territorio e il ruolo e le necessità economico finanziarie degli Enti locali, l’UPI non ritiene di poter esprimere un parere in merito al Documento di Programmazione economico-finanziaria 2004-2007.

Accordo per l’individuazione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale

Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome
Associazione Nazionale Comuni Italiani
Unione delle Province d’Italia
Unione Nazionale Comuni Comunità Montane


 

DOCUMENTO SULL’ACCORDO AI SENSI DELL’ARTICOLO 3, COMMA 1, LETT. A) DELLA LEGGE 27 DICEMBRE 2002, N.289 SUI MECCANISMI DEL FEDERALISMO FISCALE

 

VISTO l’articolo 3 della legge n.289 del 2002 “legge finanziaria 2003” istitutivo dell’Alta Commissione di studio per l’indicazione dei principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ai sensi degli articoli 117, co.3, 118 e 119 della Costituzione;

VISTA l’urgenza di sancire tale accordo al fine rimuovere il congelamento degli strumenti di autonomia finanziaria di Comuni e Regioni;

VISTI gli articoli 2, 3, 4 co.2, 23 e 53 della Costituzione che concorrono a definire un sistema di federalismo fiscale i cui elementi strutturali siano funzionali ai principi di uguaglianza, solidarietà e progressività della imposizione fiscale;

VISTA l’esigenza che il federalismo fiscale coniughi i meccanismi di redistribuzione delle risorse esistenti con strumenti in grado di assicurare lo sviluppo socio-economico delle singole realtà territoriali, realizzando il giusto equilibrio tra autonomia, efficienza e solidarietà,

VISTA l’esigenza che i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali costituzionalmente garantiti, secondo l’art.117, co.2, lettera m), siano determinati dallo Stato e integralmente finanziati ai sensi del comma 4 dell’art. 119 della Costituzione;

CONSIDERATO che il sistema dei tributi propri e delle compartecipazioni deve garantire il principio della trasparenza, della semplificazione, della responsabilizzazione e deve comunque determinare un accrescimento dell’attuale livello di autonomia impositiva e flessibilità fiscale, ferma restando il rispetto del principio di invarianza della pressione fiscale;

CONSIDERATO che l’attuazione del federalismo fiscale dovrà rispettare i principi di razionalità e coerenza dei singoli istituti tributari e del sistema tributario nel suo complesso; di omogeneità dei tributi regionali e locali, intesa nel senso che detti tributi siano, pur nella loro diversità, tra loro conciliabili e si innestino armonicamente nel sistema tributario nel suo complesso; di stabilità e di unitarietà della finanza pubblica; le Regioni e le autonomie locali, inoltre, sottolineano la necessità che il federalismo fiscale debba essere sviluppato in parallelo alla riforma del sistema fiscale statale delineato dall’apposita legge delega e non già in progressione, per evitare il rischio di adattamenti successivi che potrebbero modificare il quadro appena costruito oppure essere costretti e compressi dentro un disegno ritenuto immodificabile e incompatibile con le esigenze delle Regioni e delle autonomie locali le quali, in questo senso, chiedono di essere preventivamente coinvolte nella predisposizione dei decreti legislativi di attuazione della delega;

CONSIDERATO che l’attuazione della riforma costituzionale richiede un periodo transitorio prima dell’entrata a regime e che occorre assicurare la messa a disposizione delle risorse per l’esercizio delle competenze spettanti alle Regioni, alle Province e ai Comuni, alla luce della novellata Costituzione, in maniera congrua, tempestiva e trasparente;

RICHIAMATA la necessità di fare salve le competenze attribuite a Regioni a statuto Speciale e Province Autonome ai sensi dell’art. 10 della Legge Costituzionale 3/2001;

RICHIAMATA la necessità che, in ogni caso, l’esercizio della autonomia impositiva delle Regioni e degli enti locali si accompagni ai principi della responsabilizzazione finanziaria, in modo da assicurare la correlazione tra prelievo e beneficio;

CONFERMATA la validità dell’assetto istituzionale definito dall’art. 119 della Costituzione rispetto all’autonomia finanziaria di entrata e di spesa di Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni e la necessità che in sede di Conferenza Unificata si sviluppi una preventiva intesa sulla impostazione della politica economica-finanziaria nazionale, anche in relazione alla predisposizione del Dpef, dei contenuti della legge finanziaria e del Patto di stabilità e crescita.

 

Tra Governo, le Regioni, i Comuni, le Province e le Comunità montane si conviene

il seguente accordo:

 

1. Il presente accordo ha ad oggetto l’individuazione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale al fine di fornire indirizzi all’Alta Commissione di Studio prevista dall’art.3, co.1, lett.b) della legge 28 dicembre 2002, n.289 per l’elaborazione dei principi generali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario che saranno oggetto della relazione al Governo.

2. L’Alta Commissione, incaricata di predisporre una relazione al Governo in cui indicare i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, secondo quanto previsto dalla Costituzione, presenterà entro il 31 marzo 2004 la suddetta relazione. E comunque entro il 31 ottobre 2003, presenterà un documento sugli elementi per il coordinamento tra Patto di Stabilità, Legge finanziaria 2004 e federalismo fiscale.

3. Il documento dell’Alta Commissione conterrà le proposte di attuazione dell’art. 119 Cost.; in particolare tale documento si sostanzierà in una parte generale riguardante il sistema nel suo complesso, e in una parte contenente indicazioni specifiche per Regioni, Province e Comuni.

4. Contestualmente l’Alta Commissione elaborerà :

a) la ricognizione della finanza di ciascun livello di governo (ammontare delle risorse finanziarie complessive) Stato, Regioni, Province e Comuni, in rapporto alle funzioni esercitate.

b) la proiezione dei fabbisogni in ordine all’attuazione dei processi di decentramento amministrativo e di attuazione del Titolo V.

5. L’Alta Commissione individuerà i contenuti della legge statale di coordinamento della finanza pubblica rispetto a:

a) il riparto tra la competenza legislativa statale e regionale in merito ai tributi regionali e locali

La legge statale di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, secondo quanto stabilito dall’art. 119, co.2, Cost. individua i tributi e le entrate proprie di Regioni ed enti locali, le sovrimposte e le addizionali ai tributi erariali nonché le compartecipazioni spettanti alle Regioni e agli enti locali, determinando anche l’ambito normativo e regolamentare autonomo riservato agli stessi, a partire dai livelli e dalle forme di autonomia finanziaria previsti nell’ordinamento vigente.

Le Regioni hanno competenza in materia di coordinamento dei sistemi tributari delle Regioni e degli enti locali, nell’ambito dei principi fissati dalla legge dello Stato, ovvero, se mancanti, desumibili dalle legge statali vigenti.

La legge regionale, nell’ambito delle proprie competenze, prevede i tributi locali, limitandosi a delineare i soli principi generali e lasciando agli enti locali la facoltà, nell’esercizio della propria autonomia tributaria, di istituirli ed applicarli.

Si richiama la necessità di far salve le competenze delle Regioni a Statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano ai sensi dell’art. 10 della Legge costituzionale n. 3 del 2001.

b) L’autonomia normativa di Comuni, Province e Città Metropolitane in materia di finanza locale;

La legge statale di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario disciplina soltanto in via di principio i tributi e le entrate proprie nonché le forme di compartecipazione ai tributi erariali, lasciando alla autonomia regolamentare degli enti locali la disciplina applicativa dei tributi.

Allo stesso tempo la legge regionale che prevede tributi locali si limita a delineare i principi generali e lascia all’autonomia regolamentare degli enti locali la facoltà di istituirli nonché la disciplina di applicazione.

c) un’adeguata proporzione tra tributi propri e compartecipazioni a tributi erariali per ogni livello di governo;

Fermo restando che l’insieme delle fonti relative ai commi 2 e 3 dell’art. 119 Cost devono consentire a Regioni ed enti locali di finanziare integralmente le funzioni pubbliche a loro attribuite, si dovrà individuare la proporzione secondo la quale ripartire l’ammontare delle risorse a disposizione nell’ambito delle diverse fonti: tributi ed entrate proprie, compartecipazioni, perequazione, intendendosi in tal modo definitivamente conclusa l’esperienza della finanza derivata.

d) il sistema di perequazione

Tenuto conto che le disparità regionali sono molto profonde, il fondo perequativo di cui al comma 3 dell’art. 119 Cost. e altre risorse del bilancio dello Stato dovranno consentire di perequare le differenze dei territori con minore capacità fiscale per abitante, in modo da garantire il normale esercizio delle funzioni attribuite a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, proseguendo nell’azione di incentivare l’esercizio virtuoso delle potestà tributarie di ciascuna realtà istituzionale.

I criteri per la definizione e l’attribuzione del fondo perequativo per territori con minore capacità fiscale per abitante sono determinati dalla legge dello Stato con il concorso delle Regioni e degli enti locali. Il fondo, distinto per Comuni, Province, Città metropolitane Regioni, è attribuito direttamente dallo Stato.

In considerazione della struttura del federalismo fiscale proposto l’Alta Commissione dovrà prevedere un meccanismo di attribuzione del fondo perequativo teso a garantire i principi di solidarietà previsti dalla Costituzione. Entro tale meccanismo dovrà essere prevista la perequazione che le Regioni effettueranno a seguito della attribuzione agli Enti locali di entrate tributarie per il finanziamento delle funzioni loro assegnate direttamente dalle regioni medesime individuando nel Consiglio delle Autonomie ovvero, in analoghe sedi i luoghi di concertazione interistituzionale.

e) Fondo per gli interventi speciali e risorse aggiuntive

Gli interventi di cui al comma 5, art. 119 Cost., dovranno confluire in un fondo nazionale destinato a colmare le ulteriori disparità strutturali. (differenze di opportunità, arretratezza del sistema economico e sociale) delle singole realtà territoriali. Le Regioni, le Province, i Comuni e le Città metropolitane concorrono con lo Stato a definire l’entità e i criteri di riparto di tale fondo.

6. L’Alta Commissione individuerà le modalità per garantire certezza di risorse finanziarie per ogni livello di governo in rapporto alle funzioni esercitate.

7. L’Alta Commissione individuerà le procedure di composizione dei conflitti tra Stato, Regioni, Province e Comuni, nonché strumenti e procedure che garantiscono la ininfluenza diretta e/o indiretta sul gettito dei Comuni, delle Province, delle Città Metropolitane e delle Regioni, di modifiche dei sistemi tributari statali e regionali

La Conferenza Unificata è la camera arbitrale per dirimere i conflitti tra Stato, Regioni, Province, Comuni e Città Metropolitane; il Consiglio delle Autonomie locali, ovvero analoghe sedi istituzionali sono la camera arbitrale per dirimere i conflitti tra Regioni ed enti locali.

 

Roma, 18 giugno 2003

Documento Upi Istruzione

NOTA DELL’UNIONE PROVINCE D’ITALIA SULL’ATTUAZIONE DELLA LEGGE 28 MARZO 2003 IN MATERIA DI RIFORMA DELLA SCUOLA


L’avvio della fase operativa per l’attuazione della recente legge n°53 del 2003, con la quale il Governo è stato delegato a definire norme generali sull’istruzione e livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, richiede all’Unione ed alle  Province a livello regionale, un rilevante impegno, nei confronti dello Stato e delle Regioni, affinché i cambiamenti del sistema educativo italiano – resi necessari dalle esigenze della qualificazione delle risorse umane per lo sviluppo culturale, produttivo, economico e sociale, in parte indicati nei principi e nei criteri direttivi contenuti nella legge – si realizzino mediante l’adeguato apporto di tutti i soggetti istituzionali rappresentativi delle comunità comunali, provinciali, regionali e statali, in conformità ai ruoli ed ai compiti a ciascuno di essi affidati dalla Carta costituzionale, nelle sue più recenti riformulazioni, e dall’ordinamento.


Il contributo delle Province trova una sua particolare ragione – oltre che nella centralità e nell’importanza del sistema educativo per lo sviluppo del Paese ed per il suo pieno inserimento nella comunità internazionale e segnatamente in quella europea – nello specifico ruolo che, rispetto al sistema dell’istruzione e della formazione professionale, tale livello istituzionale ha tradizionalmente svolto e che si è venuto ulteriormente rafforzando negli ultimi anni per effetto della rilocalizzazione, dal centro alla periferia, delle più importanti funzioni amministrative.

 In particolare vengono in rilievo i nuovi compiti conferiti alle Province – accanto agli interventi strumentali e logistici concernenti le sedi e le attrezzature di tutte le scuole medie superiori – in materia di  pianificazione dell’organizzazione della rete scolastica, in un quadro di proposte integrato con il sistema dell’offerta di formazione professionale, pure attribuito all’ente, e in stretta connessione con gli interventi, di cui la legge ha incaricato le Province, per le politiche attive del lavoro. Da tali elementi si ricava che l’ordinamento ha voluto attribuire alle istituzioni di livello provinciale un forte connotato di governo della programmazione e della realizzazione del sistema complessivo di qualificazione dei cittadini per il loro efficace inserimento lavorativo.


Tutto ciò va tenuto in debito conto in primo luogo nel processo di definizione, da parte del Governo,  del contenuto dei decreti delegati con i quali deve essere data attuazione alla legge di riforma al sistema educativo.

Infatti la riforma a cui si sta lavorando, a prescindere dagli specifici contenuti delle proposte, non può più essere definita secondo metodi e canoni, con i quali sono state tradizionalmente impostate le riforme scolastiche del passato, diretti a disciplinare dal centro tutti gli spazi di un sistema educativo e di formazione, uniformemente attuato su tutto il territorio nazionale, magari senza prendere in alcun modo in considerazione le problematiche locali, anche solo connesse agli aspetti operativi e logistici delle innovazioni introdotte.

 I limiti della delega che la legge n° 53 individua per il Governo, e cioè la definizione di regole generali e di livelli essenziali di prestazioni, richiede che questi attivi un serrato e continuo confronto con le Regioni, ma anche con tutti gli altri livelli delle autonomie istituzionali –territoriali e scolastiche – protagonisti nella completa attuazione del sistema; e ciò anche per fare in modo che la disciplina normativa elaborata dal Governo assicuri il coordinato ed armonico apporto di tutti i soggetti protagonisti nel ruolo rispettivamente definito dalla Costituzione e dall’ordinamento.

A tutto ciò consegue una  prima concreta richiesta dell’UPI al Governo: la partecipazione di una propria rappresentanza alle commissioni  ed ai gruppi di lavoro tecnici che elaborano il materiale destinato ai decreti delegati, in particolare per la parte di essi concernente il secondo ciclo relativo al sistema dei licei ed a quello dell’istruzione e formazione professionale.


In secondo luogo l’avvio del processo volto all’introduzione di una nuova disciplina del sistema istruzione suggerisce all’UPI un rinnovato impegno nei confronti delle Regioni, per la competenza legislativa loro attribuita dal nuovo testo dell’art.117 della Costituzione e quindi per un ruolo la cui rilevanza va ben oltre la tematica della definizione di una quota dei piani di studio, per riferirsi  invece ad una disciplina organica di un sistema regionale di qualificazione complessiva delle risorse umane.

In particolare si richiede alle Regioni di farsi protagoniste di adeguate iniziative legislative ed amministrative volte a dare a tale sistema regionale le caratteristiche di un effettivo snodo del servizio educativo nazionale, attento alle esigenze delle singole comunità nell’ambito dei livelli prestazionali dell’istruzione definiti per tutto il Paese e in ogni caso capace di garantire, nei limiti necessari, il giusto spazio alle autonomie locali e a quelle scolastiche.

In tale quadro assume fondamentale importanza l’azione delle singole Unioni regionali delle Province  per sollecitare le Regioni e confrontarsi con esse affinché venga delineato un quadro normativo che rispetti e garantisca il ruolo delle Province, in particolare per quanto riguarda la predisposizione dei piani di organizzazione della rete scolastica, compito ad esse attribuito già dall’art.139 del decreto legislativo n°112/98, in una logica di integrazione con tutta l’offerta formativa.

Numerosi sono gli aspetti per i quali  i contenuti ed i confini della disciplina che il Governo intende approvare assumono rilevanza per il rispetto e l’esercizio delle attribuzioni  provinciali relative, in particolare, al secondo ciclo dell’istruzione; e ciò sia direttamente, in quanto incidono su scelte, oneri ed interventi la cui attuazione riguarda le funzioni amministrative di cui le Province sono titolari, sia indirettamente, in quanto si riflettono sull’autonomia legislativa ed amministrativa delle Regioni, modificando di conseguenza l’ambito dei possibili spazi di intervento delle Province nei confronti di esse.

Per gran parte di tali aspetti assume altresì rilievo l’auspicato esercizio – in misura più incisiva, ma rispettosa delle Autonomie locali – di compiti legislativi ed amministrativi da parte delle Regioni, al fine di assicurare la presenza di condizioni adeguate per lo svolgimento dei compiti affidati alle Province in materia scolastica.

Gli aspetti delle innovazioni legislative di Stato e Regioni che assumono rilevanza strategica per le Province possono  essere individuati con riferimento alle seguenti problematiche:

• il rapporto scuola / istruzione e formazione professionale: i limiti costituzionali alla funzione legislativa dello Stato, per il quale la Costituzione (art. 117, comma 3) – al di là delle formulazioni contenute nella legge n°53 del 2003 – esclude interventi sull’istruzione e formazione professionale, attribuita alle Regioni; con riferimento a tali limiti risulta  delicata la disciplina, in particolare, della parte del secondo ciclo di istruzione denominata ‘sistema dell’ istruzione e della formazione professionale’, nonché quella dei passaggi da e per il sistema dei licei;

• il tema della quota dei piani di studio riservata alle Regioni, per la quale finalità e dimensionamento devono necessariamente emergere da valutazioni coordinate tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti, sia a livello nazionale che in quello locale, anche in considerazione del fatto che la norma riferisce il  contenuto di tale quota agli interessi specifici delle Regioni ‘anche in collegamento con le realtà locali’ (art.2, comma 1,lett.’l’, della legge 53/03)

• il rispetto, da parte del contenuto dei decreti delegati, di un livello di disciplina delle singole articolazioni del sistema educativo che si configuri realmente in termini di regole generali e di livelli prestazionali, evitando, ad esempio, di ‘irrigidire’ nelle norme nazionali contenuti di dettaglio (da programma scolastico tradizionale), che potrebbero limitare gli spazi di autonoma elaborazione dell’offerta formativa da parte delle istituzioni scolastiche, i quali, a loro volta, devono tener conto della programmazione territoriale di tale offerta (art.3 del d.p.r.275/99);

• il rispetto, nelle norme da inserire nei decreti delegati ed in quelle delle leggi regionali, ma anche negli atti di programmazione del sistema formativo adottati dalle Regioni, dei compiti attribuiti alle Province in materia di organizzazione del servizio scolastico, evitando nella normativa statale l’introduzione di vincoli eccessivi a tale attività provinciale,  ad esempio per quanto attiene all’impiego delle risorse umane nelle scuole( criteri e parametri di dotazioni organiche) ed assicurando nelle leggi regionali il collegamento, sin dal livello provinciale, con la programmazione di tutta l’offerta formativa;

• la necessità di assicurare il collegamento tra  definizione  – rimessa ai decreti delegati- dei contenuti degli indirizzi in cui si articolano le istituzioni del secondo ciclo di istruzione, da una parte, ed  più articolata conoscenza del reale fabbisogno formativo, dall’altra, i cui connotati, in termini di contenuti e di quantità, sono demandati alla definizione del sistema territoriale decentrato, coinvolto – per le diverse realtà territoriali – anche negli aspetti relativi alla formazione professionale e alle politiche del lavoro;

• lo stretto collegamento tra le scelte di contenuto degli obiettivi formativi del sistema scolastico e delle modalità spazio-temporali con le quali si prevede che i medesimi siano perseguiti (tutti elementi che i decreti delegati devono in termini generali disciplinare) ed i rilevanti aspetti logistici necessari per l’operatività di tali scelte; sedi scolastiche, loro localizzazione, loro caratteristiche dimensionali e funzionali, connotati , tipicità e flessibilità dei singoli locali, da adibire alle attività didattiche ,normali e speciali di laboratorio, tipologia delle attrezzatura delle scuole, rappresentano altrettanti problemi che condizionano l’attuazione della riforma della scuola e che devono, per quanto possibile, essere affrontati contestualmente con i soggetti istituzionali ai quali sono attribuite le scelte  per la loro realizzazione, se si vuole garantire il perseguimento degli obiettivi innovativi che ci si propone;

• anche con riferimento all’aspetto da ultimo trattato, ma più in generale per consentire di risolvere i diversi problemi operativi ed organizzativi connessi alla riforma complessiva dei cicli scolastici, occorre un’analisi puntuale con il concorso di tutti i soggetti interessati per definire in termini reali, congrui ed adeguati il piano programmatico degli interventi finanziari che il Ministro deve predisporre, secondo quanto previsti all’art.1, terzo comma, della legge 53/03; l’impegno finanziario necessario alla riforma del sistema educativo deve infatti considerare tutti gli aspetti funzionali e strutturali, di sedi e di attrezzature, che sono rilevanti per il perseguimento delle finalità indicate dalla legge, indicando le risorse aggiuntive complessivamente necessarie e quindi anche quelle da attribuire agli altri enti territoriali, non solamente quelle per gli interventi cui provvede direttamente lo Stato. 


Per l’approfondimento delle problematiche sopra indicate l’Unione delle Province d’Italia invita le singole Amministrazioni, in particolare nelle loro organizzazioni regionali, ad attivare incontri e ad elaborare specifiche proposte. Le risultanze di tale dibattito potranno trovare adeguata risonanza sia nel confronto con le singole Regioni, sia nelle iniziative dell’Unione relative alle prossime scadenze sull’iter della predisposizione dei decreti delegati in attuazione della legge n°53 del 2003.

 

Giugno 2003

 

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